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lunedì 29 dicembre 2014

DOBBIAMO PENSARE A FUTURI E FREDDI INVERNI? ASSOLUTAMENTE DA NON PERDERE QUESTO LUNGO ARTICOLO DI BLONDET


maurizio blondet Sono Maurizio Blondet
tratto da  
http://ilpunto-borsainvestimenti.blogspot.it/
di Maurizio Blondet


«L’Unione Europea continuerà a dipendere, per tutto il futuro prevedibile, dalle importazioni di gas russo via gasdotto»: 
impagabile l’asserzione della IEA, "International Energy Agency", nel suo rapporto intitolato "Energy Politics of IEA Countries - European Union 2014 Review. November 2014". Berlino e Bruxelles, dopo aver fulminato le sanzioni contro la Russia e moltiplicato gli insulti, false accuse e le denigrazioni contro Putin, sono stati colti di sorpresa dalla decisione di Gazprom di cancellare il progetto della pipeline South Stream. 

Ma come...!? Noi lo danneggiamo e lui ci danneggia? In che mondo siamo?

Ancor più sbalorditi quando Aleksei Miller, il capo di Gazprom, ha contestualmente spiegato che la funzione (ben pagata) dell’Ucraina come Paese di transito per il gas russo all’Europa «sarà ridotta a zero», e che il cancellato South Stream sarà sostituito dalla costruzione di una pipeline in Turchia. Ciò significa la perdita di 63 miliardi di metri cubi delle annuali importazioni dirette dalla Russia che passavano dai tubi attraverso l’ Ucraina: una grossa falla nella sicurezza e stabilità energetica d’Europa, perché – come ha spiegato appunto il rapporto IEA – la Russia resterà una fonte indispensabile di fornitura per molti anni ancora, tanto più che la produzione del gas del Mare del Nord (essenzialmente norvegese) sta declinando. Da quel momento i due balordi – Berlino e Bruxelles – si sono dati affannosamente a cercare nel vasto mondo fonti alternative per la fornitura di gas naturale. La ricerca si è rivelata molto più difficile del previsto — anche questo con gran sorpresa delle centrali di incompetenza europidi, probabilmente tratte in inganno dal crollo dei prezzi energetici. Se i prezzi sono così bassi, vuol dire che il mondo affoga nell’abbondanza di petrolio e gas, no? Non è la legge della domanda e dell’offerta? Significa che l’offerta è abbondante rispetto alla domanda, così insegnano nelle facoltà di economia a pensiero unico. Andiamo dunque a cercare il petrolio e il gas da chi ne produce in tanta abbondanza.


Maroš Šefčovič (uno slovacco) vice-presidente della Commissione per l’ Energia della UE (nel ‘Governo’ Juncker) ha subito dichiarato che i cervelli eurocratici stavano progettando di sviluppare il «Corridoio Sud», la via (o il tubo) che parte dal bacino del Caspio alla UE attraverso il Caucaso del Sud (bisogna pur aiutare la Georgia) e – ancora – la Turchia. Fra pochi anni, ha trionfalmente rassicurato lo slovacco, ci sarà un gran tubo che dall’Azerbaijan (il fornitore alternativo) si farà strada fino al confine greco-turco, e si chiamerà TANAP (Trans Anatolian Natural Gas Pipeline Project); da lì germoglierà un rametto che arriverà a noi italiani transitando per l’Albania: si chiamerà TAP (Trans Adriatic Pipeline), perché gli eurobalordi non sono mai a corto di sigle. Da lì ci arriveranno – ha annunciato lo slovacco junckeriano tutto contento – ben 12 miliardi di metri cubi annui di gas estratti dal gigantesco giacimento Shah Deniz che giace nel Caspio, fuori dalla costa azera. Ma un momento: 12 miliardi di metri cubi? Quelli che mancano all’Europa per le sanzioni che abbiamo imposto a Mosca sono, abbiamo visto, "63 miliardi" — che sarebbero entrati attraverso il cancellato South Stream. Anzi, il sul lodato rapporto IEA (che bisognava leggere prima), prevede che le importazioni della UE nei prossimi due decenni cresceranno di circa 450 miliardi di metri cubi annui. Il gas azerbaigiano è una goccia nel secchio europoide. E poi, mettiamo i puntini sulle i: cosa intende lo slovacco che ha in mano i nostri destini energetici, quando dice «molto presto»?


Intende il 2019... Solo allora il TANAP più TAP ci porterà gli agognati, ancorché insufficienti, 12 miliardi di m3 di gas. Si prospettano cinque inverni coi caloriferi freddi, e cinque anni di industrie a energia razionata. 

Ecco perché Berlino e Bruxelles stanno pensando, mettendo al massimo sforzo i neuroni disponibili, a fornitori alternativi con cui alimentare un po’ di più il Corridoio Sud. È la loro carta vincente, per il momento, visto che non ne hanno altre. Una brillantissima idea: comprare il gas dall’Iraq del Nord. Ossia in quella zona serena e sicura in cui, attualmente, il Califfato Daesh sta cercando di portar via con le armi le zone petrolifere ai curdi, impegnati in una guerra a tutto tondo per difendere non solo il loro greggio, ma il loro regime e i propri abitanti. Sarà anche per questo che l’Italia ha mandato 525 consiglieri militari ad Erbil, dove «sono già presenti consiglieri militari e forze speciali statunitensi, britannici, francesi e tedeschi, e i tedeschi hanno già installato a "Erbil" una loro base che gestisce l’afflusso e la distribuzione degli ingenti aiuti militari forniti da Berlino ai curdi (per un valore di 80 milioni di euro)», come dice il "Sole 24 Ore"? 

Fatto sta che a mezz’ora da Erbil, tuonano già i cannoni del Califfo e si battono i suoi tagliagole, e il Governo curdo – il fornitore che rischia di essere travolto – ha già fatto sapere che le sue priorità sono dirette a soddisfare i consumi interni, seguiti dall’export alla Turchia. Ma hanno giacimenti enormi, ci rassicurano, abbastanza da consentire anche rifornimenti alla UE, come terzo. Quanti, e per quanto tempo, è opportuno sorvolare. Le condizioni in cui le guerre americano-europee hanno lasciato l’Iraq non facilitano, si dovrà ammetterlo, l’esportazione di gas dal Paese destabilizzato e in via di sgretolarsi in staterelli ostili, e in guerra fra loro «per il futuro prevedibile». Per questo, a giugno Berlino ha messo gli occhi sull’altro grande fornitore potenziale dell’area: l’Iran, inviando a luglio, alla chetichella, propri emissari a Teheran per stabilire proficue relazioni d’affari. 

Anche qui, gli emissari hanno costatato quanto le nostre aggressioni su comando americano siano svantaggiose per il business: le sanzioni che restano ancora a inceppare l’Iran (Israele e i sauditi non vogliono un accordo che sollevi l’embargo, e fanno di tutto per sventarlo), ostacolano una cooperazione economica vera, fiorente — hanno dovuto ammettere i tedeschi. Solo il Turkmenistan e il Kazakhstan restano, nell’Asia Centrale, i potenziali fornitori con cui non ci siamo messi in rotta di collisione, almeno per ora, imponendo aggressive sanzioni e punizioni, e impartendo lezioni sui «diritti umani» e la «democrazia». Tuttavia, fino ad oggi dei progetti per attingere ai loro giacimenti e farli giungere a noi attraverso tubature che passerebbero sotto il Caspio e affiorerebbero in Azerbaijan per confluire nel TANAP, non si sono ancora materializzati. È stato proprio il fatto che s’è rivelato impossibile attuare le tre opzioni sopra elencate, anzi l’impossibilità di attuarne anche solo una, che ha portato all’abbandono del progetto Nabucco già nel 2013: il tubo Nabucco, che doveva essere creato con finanziamento europeo, avrebbe dovuto funzionare semivuoto. Del resto, il Nabucco se l’erano inventati a Washington al solo preciso scopo di sabotare il South Stream, voluto dai russi (e dall’ENI), e Bruxelles s’era impegnata a finanziarlo solo per obbedienza "perinde ac cadaver " — e tutti erano ben consci della sua irrealizzabilità e anti-economicità.

Mogherini in Turchia

Poco male, si sarà detto qualche euro-pirla a Bruxelles. La decisione moscovita di colare a picco il South Stream per fornire il gas via Turchia, destina comunque il gas alla UE; d’accordo, l’Europa (quella del Sud) diventa pesantemente dipendente dalla Turchia come Paese di transito; ma non è forse la Turchia il nostro miglior alleato nella NATO, l’aspirante ad entrare nel paradiso europoide? E dunque, non c’è problema. E invece, sorpresa: Ankara, avendo acquisito da Mosca lo "status" di primo distributore energetico, ha visto di colpo aumentare il suo peso e la sua influenza, ed è ben decisa a far contare la sua nuova importanza. Lo sapete Erdogan che tipo è. È quello che sta aiutando DAESH ad abbattere il regime siriano, quello che s’è rifiutato di accodarsi alle sanzioni euro-americane contro Putin, insomma è così disobbediente che, gli hanno fatto altezzosamente notare a Bruxelles e Berlino, se continua così «si sta isolando» e «rovinando i rapporti con l’Occidente».

Isolamento? Il vice-presidente Joe Biden è volato in visita ad Ankara a novembre, seguito a dicembre da papa Francesco, da Vladimir Putin, da David Cameron e – buona ultima – dalla nostra povera Federica Mogherini nella tragicomica veste di Alto Rappresentante della Unione Europea per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza (sigla ARUEAE&PS, suppongo). Obbligata dalla posizione di Alto Rappresentante senza potere (sono sicuro che saprebbe far meglio di così) la povera Mogherini è andata ad Ankara – ebbene sì – a"sgridare "il Governo neo-ottomano: s’è lagnata per dovere di ufficio che la Turchia oggi sostiene «meno di un terzo» di iniziative europee, mentre «prima ne sosteneva l’80%». Questo tipo di lamentela già rivela che dev’essere stato dettato da qualche estone o polacco di quelli che adesso comandano a Bruxelles, o da un Juncker in piena euforia etilica.Il Ministro degli esteri Turco, Mevlut Cavusoglu, ha avuto buon gioco a rimbeccare: Ankara contribuisce da anni ai progetti di politica estera cucinati da Bruxelles «senza partecipare a nessun tipo di meccanismo decisionale nelle questioni di sicurezza e difesa». Tanto è per far pesare che Bruxelles tiene da decenni Ankara sulla porta d’entrata nella UE, obbligandola ad allineare le politiche nazionali turche ai dettami e agli standard UE, mentre dietro le quinte sussurra che mai e poi mai la Turchia sarà lasciata entrare in Europa, speranza che i neo-ottomani hanno ormai abbandonato da tempo. «Esigere adattamento senza dare co-determinazione è una contraddizione nella UE», ha sancito Cavusoglu, con una frase che dovrebbero pronunciare anche i nostri Ministri, ogni tanto. Fatto sta che i rapporti della UE con la Turchia sono stati, se possibile, peggiorati. Speriamo che a Berlino non venga in mente di imporre sanzioni anche alla Turchia; rischiamo di restare davvero a secco del tutto.

Soccorso USA in shale gas?

Era il nostro asso nella manica. Washington ha spinto i balordi a guastarsi con Mosca, assicurando: siamo pieni di gas di scisto, se la Russia non vi rifornisce più, il gas ve lo vendiamo noi. Barroso stai sereno, dicevano dalla casa Bianca. Effettivamente, il boom americano del "fracking"sembra(va) eccezionale, al punto che gli USA, ormai diventati più che autosufficienti, hanno destinato (o così hanno detto) 98 miliardi di metri cubi di gas all’export, molto vicino all’export del Qatar (105 miliardi). Mica subito, ma nel 2016 però sì. Piccolo dettaglio: il surplus americano, nel medio termine, sarà destinato di preferenza all’Asia, dove si possono spuntare prezzi di vendita superiori anche del 50% a quelli dei mercati UE. A parte che il gas americano non arriva dentro un gasdotto; dev’essere liquefatto e caricato su navi-cisterna con cisterne a pressione, il che aumenta un pochettino i costi rispetto al prodotto russo. Un pochettino o anche molto di più, come ha spiegato Friedbert Pflüger, già esperto tedesco di politica estera per il partito CDU, ed oggi direttore dello "European Center for Energy and Resource Security" (EUCERS) presso il King’s College di Londra: forse compreremo il gas più caro del mondo… Se poi gli americani accettano di vendercelo. 
Il che non è affatto detto, dato il crollo dei prezzi attuale.Federica Mogherini (la povera) ha chiesto a John Kerry, la settimana prima di Natale, di includere un preciso impegno, anzi un capitolo energetico, nei trattato Transatlantico (TTIP) che sta venendo approvato in segreto nonostante le proteste delle opinioni pubbliche. Ebbene, Kerry ha detto no. Non si impegna. Lo sappiamo, è il modo di negoziare americano post 11 Settembre: testa vinco io, croce perdi tu, se no ti bombardo. Ma è snervante, tanto più alla luce di certe informazioni fornite da Putin stesso durante la sua mega-conferenza stampa. Nello spiegare l’offensiva economica contro la Russia, ha detto: «La cifra d’affari negli scambi tra Russia e Unione Europea è calata del 4,3%, le importazioni provenienti dai paesi della UE sono diminuite del 7-8-10%. Vero è che sono stato leggermente sorpreso dal fatto che il giro d’affari degli scambi commerciali con gli Stati Uniti è aumentato, al contrario, del 7%».
Dunque, mentre noi europei abbiamo accettato di tagliarci gli zebedei nelle sanzioni contro la Russia, gli Stati Uniti, da queste sanzioni stesse, hanno guadagnato? Ci hanno portato via quote di mercato? È una notizia che fa il paio con l’altra, ossia che, sanzioni o non sanzioni, la "British Petroleum", in arte BP, ha perfezionato un mega-contratto con Rosneft, il maggior produttore petrolifero russo, per l’esplorazione di giacimenti artici: un affare da 800 milioni di dollari.Chissà come mai gli anglo vincono sempre. Viene quasi il sospetto che la loro balordaggine sia ben pagata. Come ha ricordato R. Craig: «Durante il mio dottorato di ricerca, il mio direttore della tesi, un alto funzionario del Pentagono, in risposta alla mia domanda su come Washington è sempre riuscita ad imporre agli europei quel che Washington voleva, rispose: “Soldi, gli diamo soldi”, “Foreign Aid?”, ho chiesto. “No, diamo ai leader politici europei valigie piene di soldi (“bags fulls of money”)”. Sono in vendita, li abbiamo comprati». Forse ciò spiega anche il fatto che il Trattato transatlantico, così palesemente rovinoso per le nostre economie e la nostra salute, a favore totale delle mega-corporations USA, avanzi come su binari di ferro, nonostante le proteste e le manifestazioni di categoria che vengono inscenate quasi ogni giorno (!) a Bruxelles (e di cui i "media" non ci danno notizia).

Lesbicame
Quanto all'autorevolezza e autonomia di giudizio della Sig.ra Merkel, noterete come sia la sola a restare dura: le sanzioni contro Putin devono durare ed anzi farsi più pesanti. La vice-presidente del partito della Sinistra germanica, la parlamentare Sahar Wagenknecht, l’ha invitata pubblicamente a «smettere di giocare col fuoco nell’interesse di Washington» sostenendo la giunta di Kiev, e pensare invece all’interesse tedesco. Molti sospettano che la durezza sia dovuta a un dossier che la NSA avrebbe sventolato sotto il naso di Angela: la sua relazione lesbica con una attrice francese di serie B, indicata dai servizi come «Z». Sia concesso dissentire. Anzitutto, questo è un segreto di Pulcinella: già la moglie dell’ex Cancelliere Schroeder, Doris Schroeder Kopf, ha detto apertamente in un’occasione: «La vita privata di Angela Merkel non corrisponde al format della gran parte delle donne». Il punto è che la nuova direttiva globale di promozione dell’omosessualismo rende la minaccia di uno scandalo sessuale una cartuccia bagnata. Eh sì, Angela Merkel è sposata a Joachim Sauer, dal quale la prima moglie ha divorziato per averlo trovato a letto con un maschietto: e allora? Ecco una coppia-modello, uno splendido matrimonio LGBT.

Verso Mosca, nonostante tutto…

Ma torniamo al gas che Bruxelles e Berlino credevano di poter trovare sul mercato. Cerca e cerca, non l’hanno trovato. Sicché adesso esperti e politici germanici stanno esprimendo «la speranza» che il Governo russo si induca a ripensare la sua decisione di cancellare il South Stream. «Per l’Europa nel suo complesso, sarebbe bene che il progetto non venga ucciso», ha esalato il Ministro dell’Economia Sigmar Gabriel, SPD. «Si spera semplicemente che la situazione tra Russia, Ucraina ed Unione Europea» si rassereni, e «le trattative riprendano». Da parte sua il già citato Pfluger, ex esperto della CDU per la politica estera, è saltato fuori con una soluzione, che ha spiegato al giornale economico "Handelsblatt": «Il North Stream, che raggiunge la Germania passando nel fondo del Baltico, ha due tubature. Se ne può aggiungere una terza». Ché poi, a voler vedere, «uno studio di fattibilità» ha fatto vedere che «due tubature aggiuntive» potrebbero soddisfare la crescita prevista nella domanda europea. Insomma, noi"meridios" pagheremmo le royalties non ai turchi, ma ai tedeschi, mettendo nelle mani di Berlino il totale controllo politico sulle forniture di gas europee.
Per nostra fortuna, davanti a queste "avances" e proposte di soluzione, Mosca non ha dato segno di assenso, lasciando capire che i mestatori di Bruxelles e Berlino sono andati un po’ troppo oltre con le loro vessazioni sul South Stream; e del resto in queste settimane la Russia ha riorientato la sua produzione verso l’Asia e la Cina, un riposizionamento strategico che i balordi europoidi vogliono credere temporaneo... Resta in loro la pretesa che si possa fare dell’Europa il nemico della Russia, e nello stesso tempo il suo miglior cliente. E si indignano se Mosca non ci sta. Ha proprio ragione Angela Merkel: «Putin vive fuori della realtà»...

'PELLEGRINI SILENZIOSI'

C’è un lato sempre più comico e tragico nei leader europei che hanno obbedito a Washington, comminando le dannosissime sanzioni alla Russia e facendosela nemica. Ricordiamo: la Bulgaria ha decretato l’azzeramento del gasdotto South Stream vietandone il passaggio sul suo territorio. Con una perdita per le casse statali stimata fra i 400 e i 600 milioni di euro per mancati diritti di transito. Il premier bulgaro Boyko Borisov – come gli ha consigliato Vladimir Putin – ha chiesto compensazioni a Bruxelles.

Il 3 dicembre, la portavoce della Commissione Europea, Anna-Kaisa Itkonen (un’altra baltica: comandano loro) ha risposto ufficialmente: «Non c’è fondamento legale per una compensazione», aggiungendo questa motivazione: «La Bulgaria è un Paese sovrano, prende da sé le decisioni su ciò che ritiene meglio per i suoi cittadini». Impagabile risposta: di colpo la UE si inchina alla «sovranità» di uno Stato membro, quando deve evitare di pagare i danni. Ma a questo punto al Primo Ministro Borisov è davvero saltata la mosca al naso — irritazione probabilmente aumentata dal constatare che a guadagnarci sarà la Turchia, visto che non è membro della UE ed ha fatto lucrosi contratti, strappando a Putin grosse tariffe di transito. Invece di tacere, Borisov ha diramato alle agenzie un comunicato che dice: «La Bulgaria Paese sovrano?! La Bulgaria ha delegato tutti i diritti alla Commissione Europea sul progetto South Stream! Questo è un fatto, e adesso voglio che la Commissione risponda con un ‘sì’ o con un ‘no’ su questo argomento, perché Putin su una cosa ha ragione, oltre al ‘sì’ c’è anche il ‘no’, ma deve essere detto a tempo, con chiarezza».

Borisov ha ricordato che la Commissione Europea ha obbligato tutti i sei Paesi interessati al South Stream a negoziare «attraverso la Commissione» stessa: «Vi rendete conto che ero io ad esser preso di mira, non Orban o qualcun altro? Ricordo a tutti che noi abbiamo firmato, che il nostro Parlamento ha ratificato un contratto e procedure che – l’abbiamo avvertito ripetutamente – avrebbero condotto a penalità. Oggi stesso voglio chiarimenti dai colleghi Tusk (il neocon polacco, "ndr") e Schultz (il kapò della maggioranza europoide, "ndr") se è considerata diversificazione il fatto che il gas passi o no dalla Turchia. E infine, ma non meno grave, danneggia la Bulgaria il fatto che sia circondata dalla pipeline Nabucco se ci fosse il Nabucco adesso non ci sarebbe alcun problema».

Non tutto è chiaro nelle frasi del Borisov, che fanno riferimento a clausole del contratto con Gazprom; è chiaro però che questo personaggio – molto filo-occidentale e filo-americano – è fuori dalla grazia di Dio. E se vuole, ha le carte per trascinare in giudizio la UE. Ha i documenti che provano che ha obbedito ai Commissari. Tutto è stato raccontato da un documentato e gongolante articolo del “Wall Street Journal” datato 3 giugno 2014: «EU Tells Bulgaria to Stop Work on Gazprom's South Stream Project», diceva il titolo, ossia: «La UE dice alla Bulgaria di fermare i lavori per il South Stream». (http://online.wsj.com/articles/eu-tells-bulgaria-to-stop-work-on-gazproms-south-stream-project-1401811829 )

Il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker, il cittadino del paradiso fiscale europoide, è volato a Sofia: «Le questioni South Stream non sono insormontabili e non accettiamo un ricatto della Bulgaria per relazioni sull'energia», un po’ minacciando e un po’ lasciando sperare che il South Stream si farà. Borisov è apparso rabbonito, forse ha ricevuto qualcosa sottobanco. Il suo atto di coraggio e di verità è durato dal 3 al 5 dicembre.

LAVROV: «Gli europei si lamentano con me»

L’ha detto il Ministro degli Esteri russo, l’ironico Lavrov, rispondendo in conferenza stampa a un giornalista di Kiev che gli chiedeva se e quanto si sentisse isolato, povero russo demonizzato e attaccato da tutte le parti, durante il forum OSCE che s’è tenuto a Basilea. Ma no, ha risposto: i miei colleghi del blocco europeo hanno voluto a tutti i costi intrattenersi con me, tanto numerosi che mi hanno fatto perdere una parte importante del dibattito OSCE. E di cosa hanno assolutamente tenuto a parlare con Lavrov, a quattr’occhi s’intende, i diplomatici e Ministri degli Esteri d’Europa? Ovviamente dell’Ucraina. Per lamentarsi del Governo di Kiev e delle norme che sta varando: la legge di «lustrazione» (assoluzione) dei dirigenti corrotti (ossia dei membri del Governo golpista e dei loro reggicoda), per esempio, è «terribile», gli hanno detto. La decisione con cui il Governo di Kiev ha amputato il Donbass e la sua popolazione dall’economia ucraina, cessando il pagamento di pensioni e stipendi pubblici in quella zona (una «punizione collettiva» secondo le leggi di Norimberga) è «demenziale, dannosa e inumana», gli hanno detto i responsabili europei. Insomma hanno voluto dire a Lavrov che loro sanno che il Governo di Kiev è un’orribile giunta criminale e senza freno. Ma a quattr’occhi, singolarmente. Perché «nel blocco» abbiamo accettato la linea «di non criticare» la giunta di Kiev. Per questo hanno fatto la fila a piangere sulla spalla di Lavrov, numerosi ma ciascun per sé, che gli altri non sentissero... «Ho chiesto ai colleghi», ha detto Lavrov, «se avessero reso note queste loro critiche e osservazioni alle autorità di Kiev, nei loro contatti diretti con quelle», almeno. «Ho ricevuto risposte inarticolate». Risposte inarticolate. Che Lavrov si è permesso gentilmente di interpretare come dei no. No, gli europei non hanno reso note le loro critiche nemmeno alla giunta farabutta di Kiev, come «blocco» sono tenuti ad approvarla in blocco nei loro atti criminali, come ordinato da Washington. Ma si confidano volentieri con Lavrov, l’hanno scelto come confessore delle loro sofferenze; di quanto soffrano di dover obbedire a quegli ordini, che se potessero sarebbero con Mosca, sanno che ha ragione, e quelli là sono dei pazzi delinquenti... Lavrov sta praticando da settimane ormai questa«diplomazia della verità».

Riferisce in conferenza stampa quello che la diplomazia europoide gli confida di nascosto («resti fra noi»), mettendone in luce l’abiezione morale, la viltà e la nullità politica, umana, intellettuale.

Hollande da Putin.

Ma senza dirlo Francois Hollande, noto titano morale, detto La Pera, è andato in Russia... No, "pardon", mi correggo: la sua destinazione è stata il Kazakstan. Si è dovuto far fotografare col presidente-dittatore Nazarbayev nel costume regalatogli dallo stesso astuto Nazarbayev (anche questa è guerra), il che ha fatto esclamare ai francesi: «Sembra Borat!», e scendere la sua popolarità di altri punti verso lo zero assoluto, quando l’azoto si ghiaccia. Poi, sulla via del ritorno, un casuale scalo tecnico all’aeroporto di Vnukovo, Mosca: e un incontro con Vlad Putin, che casualmente era lì. Una chiacchierata di un’ora. A tu per tu. Anche se – come dirà il comunicato dall’Eliseo, poi – La Pera s’era consultato con la Merkel: posso avere questo incontro? E aveva avuto il permesso. Un titano della "grandeur".

L’incontro, sia chiaro, è avvenuto «su richiesta del presidente francese» (la diplomazia-verità di Mosca), e si sarà parlato delle due navi Mistral che Mosca ha ordinato e pagato, e che Hollande non consegna per obbedire all’ordine americano di imporre sanzioni contro il Diabolico Nemico di ogni Demokràtia. Deve aver pur promesso la consegna, Monsier le Président La Poire. Cosa? Non si sa, per ora. C’è tutto un tramare segreto nei corridoi dei servetti europei, europoidi ed eurocratici, per limitare il più possibile i danni che le sanzioni producono nell’economia europea oltre che a quella russa: naturalmente di nascosto, al disotto del livello «politico», ed al disotto del livello di dignità minima. Nel suo blog, "Nuke the Wales" ne dà qualche esempio. Ha spulciato il «regolamento UE N 1290/2014, emanato il 4 dicembre e contente «le linee guida per le sanzioni» contro Mosca, e scoperto che per esempio l’embargo riguarda sì le tecnologie petrolifere che devono vietare alla Russia prospezioni e produzione, ma «in acque di profondità superiore ai 150 metri»: ciò esclude il Caspio, che è un mare bassissimo. Quanto alle prospezioni oltre il Circolo Polare, sono vietate. E per forza: lì opera la EXXON, la quale si è esentata dalle sanzioni perché ha firmato i contratti prima di agosto. E non basta: l’articolo 5 della direttiva europoide, paragrafo 3 («il divieto non si applica...) dice che le banche europee possono continuare a fornire i finanziamenti attraverso le banche russe (eccetto quattro) quando il credito serve all’import-export di beni e servizi non finanziari. E comunque, « in caso di “emergenza” possono essere finanziate le controllate di banche russe aventi sede in Europa malgrado le sanzioni». Insomma un furbesco e vigliacco tentativo di allentare le sanzioni sperando che Washington non se ne accorga. Herman Van Rompuy, adesso che non conta più nulla, s’è lanciato nella temeraria asserzione seguente: per l’Ucraina, la soluzione migliore è quella «federale», ossia con il Donbass autonomo. Un’idea che se l’avesse detta quando contava qualcosa, avrebbe evitato tre anni di atrocità, distruzioni, miseria, stermini agli ucraini, e miliardi di costi all’Europa.

USA, grande ripresa: delle mense dei poveri
Avrete letto sui "media mainstream" della ripresa americana: oltre 300 mila posti di nuovi posti di lavoro creati, mentre in Europa si langue, grazie all’espansione monetaria della FED ed al liberismo senza inceppi legali, che cura i suoi propri mali. Tutto vero, naturalmente. Nello Stato del Michigan le banche alimentari per gli studenti sono salite da 4 (nel 2008) a 121 quest’anno. In Kentucky una di queste organizzazioni caritative, la" God’s Pantry Food Bank" («Dispensa di Dio», un ente presente in 50 Stati) fornisce pasti a 190 mila persone, in grande aumento. Nell’insieme, 1 kentuckiano su 7 oggi fa conto sulle banche del cibo per sfamarsi. Una spiegazione speciale richiede il soccorso alimentare destinato agli studenti universitari: il rincaro delle rette, delle spese di alloggio (molti sono fuori sede) la diminuzione delle opportunità di fare quei lavoretti precari che in America erano tradizionalmente coperti da studenti, fa sì che a molti di loro non resti molto per mangiare. C’è chi spera di cavarsela con una ventina di dollari a settimana, e cade in denutrizione. La stazione televisiva di comunità del Kentucky, "WKYT", ci ha dedicato un’inchiesta, restando stupefatta dalla vastità enorme del problema. Vi dicono, naturalmente, che il liberismo americano è riuscito a ridurre la disoccupazione al 5,8%. Questa è il tasso ufficiale nazionale.

La CNBC (http://www.cnbc.com/id/102055126) ha dimostrato con un’inchiesta apposita che, calcolando come si fa in Europa oltre ai disoccupati i sottoccupati e che sono disposti a lavorare anche se non cercano più, il tasso reale è 13,9. Il sistema (Wall Street più neocon) frena la rivolta sociale, che cova, con la militarizzazione e la violenza razziale sistematica delle polizie, in verità la creazione di uno Stato di polizia ferreo dove tutto è vietato e dove le minime infrazioni sono punite come delitti. Eric Garner, il negro di 43 anni, 6 figli (e 160 chili) che l’agente della NYPD Daniel Pantaleo ha gettato a terra con una presa al collo che l’ha strangolato, è stato affrontato dai poliziotti nella strada di Tompksinville, sobborgo di Staten Island, mentre stava vendendo "sigarette sciolte" ai passanti. Tratte da un pacchetto senza il bollino della tassa locale, dunque di contrabbando. Sigarette sciolte: la dice lunga sulle condizioni economiche del povero Garner e dei passanti del sobborgo, e sulla ripresa americana. Per il sospetto che Garner vendesse sigarette sciolte, agenti in borghese lo hanno arrestato, gettato sul marciapiede, schiacciato al suolo mentre il poliziotto Pantaleo gli stringeva il collo. L’ultimo grido di Garner, «"I can’t breath"», non riesco a respirare, non a caso sta diventando lo slogan delle manifestazioni in corso: quegli americani che non sono nel fortunato 1%, non vengono lasciati respirare.

Ma voglio concludere con una buona notizia americana, che mi pare sia sfuggita ai "media" nostrani. La banca è quella del North Dakota – "Bank of North Dakota" – l’unica banca pubblica superstite nella liberissima America. Amministrata con leggendaria oculatezza ed onestà del Governo locale e dai suoi esperti, ha salvato ancora una volta l’economia locale, mentre altri Stati affondavano nella recessione provocata dai "subprime" di Wall Street nel 2008. L’ha fatto come sempre prestando denaro dei depositanti e contribuenti per infrastrutture giudicate essenziali (dalle strade alle case popolari, dagli ospedali agli alberghi) proprio negli anni in cui il sistema bancario privato tagliava i prestiti agli imprenditori del luogo, applicando un’azione anti-ciclica. Adesso, avendo finanziato l’estrazione di gas da scisti nell’area di Bakken che s’è rivelata ricchissima (il Nord Dakota è diventato secondo per l’estrazione di greggio, dopo il Texas), la banca di Stato s’è vista cadere dal cielo una pioggia d’oro, soprattutto in forma di introiti fiscali (la Bank fa da tesoreria unica dello Stato, da cui riceve il gettito tributario). E secondo Standard & Poor’s, il suo «return on equity», misura di profittabilità, è attualmente al 18,56%: un 70% superiore a quello delle più abili banche speculative, come Goldman Sachs e JP Morgan. Ma la ragione del successo della "Bank of North Dakota" non starebbe nel colpo di fortuna dello "shale oil", come hanno preferito osservare i "media" soggetti al Wall Street. Ma la vera ragione è che i profitti della banca, invece di essere messi in conti esteri e paradisi fiscali da dove ricavare interessi più alti, sono per statuto reinvestiti nell’economia locale. I costi sono bassi, non avendo la Bank da pagare super-manager finanziari con gli stipendi milionari, i bonus e le commissioni esorbitanti delle grandi banche d’affari. Non ha filiali e non ha Bancomat, essendo di fatto una finanziaria di medio-credito; i suoi costi di indebitamento sono bassi perché dispone del Tesoro pubblico, e non ha da pagare l’assicurazione sui depositi (fino a 100 dollari), perché è lo Stato che garantisce i depositi. Soprattutto, investe su imprese e imprenditori che conosce bene e singolarmente; investe in settori che le banche commerciali trascurano (le case rurali ad esempio) e lo fa spesso in partnership con piccole banche locali di tipo cooperativo. Il modello funziona. Ma non paga i super-manager, gestori di fondi e geni della speculazione finanziaria creativa. Forse è per questo che non viene esteso. Frase rivelatrice: a Bruxelles devono aver spiegato a quattr’occhi a Borisov tutti gli sforzi dell’eurocrazia per stroncare il Governo di Victor Orban, troppo popolare fra gli ungheresi e troppo fiero per piegarsi ai «valori dell’Occidente». Ovviamente, anche queste trame eurocratiche contro uno Stato membro sono dettate dal servilismo verso Washington. Sono vistosi i ripetuti tentativi americani di provocare una piazza Maidan a Budapest, la Nuland vuole una nuova Ucraina. Il senatore John McCain ha da poco definito Orban «un dittatore neofascista». Da novembre, lo Stato Ungherese ha stroncato la speculazione delle banche straniere, che avevano legato gli ungheresi a contrarre mutui in valuta estera — ciò che ha prodotto, per l’indebolimento del fiorino, a rincari enormi, impagabili, degli interessi. No, tutti i mutui vanno ri-denominati in fiorini, la moneta nazionale. Da quel giorno, Orban è ancora più neofascista, e l’America sente più urgente portare la demokratia ai magiari.
Come contribuenti europei vi farà piacere sapere che pagherete questo personaggio – nullo e che non avete votato – ancora 650 mila euro nei prossimi tre anni: è l’«indennità di transizione» che deve accompagnare il reinserimento dei poveri commissari UE nel duro ritorno alla vita comune, dopo gli anni dorati di Bruxelles. Van Rompuy, come presidente della Commissione, ha percepito 25 mila euro lordi al mese (il 138% del trattamento di base dei più alti funzionari eurocrati), a cui si aggiungevano un’indennità di rappresentanza di 1400 euro lordi mensili, e una indennità di residenza di 3800 euro mensili (lordi, però). Adesso, da ex-presidente, riceverà l’indennità di transizione, ossia: 9700 euro netti al mese per tre anni. Allo spirare di questi, il primo gennaio 2017, avrà la normale pensione di ex presidente, che ammonta alla miseria di 4750 euro mensili netti. Per fortuna, Van Rompuy potrà cumularli con i trattamenti pensionistici belgi che già oggi riceve come ex Primo Ministro e parlamentare del Belgio, il che dovrebbe metterlo al riparo dall’indigenza...

Panico alla BBC: RT la scavalca

D’accordo, la notizia non è (del tutto) in tema, ma è troppo bella per tacerla. "Russia Today", il network tv di Mosca, sta superando la "BBC", la storica emittente delle verità anglo-imperiali. Con 24 ore su 24 di trasmissioni in inglese ed arabo, russo e spagnolo (e il progetto di trasmissioni in francese e tedesco), la vivacissima tv putiniana raggiunge una "audience" di 700 milioni in cento Paesi, laddove la classica "BBC" perde terreno ("CNN" e gli altri network USA stanno sono ormai sotto l’orizzonte).«È spaventoso di quanto stiamo perdendo la guerra dell’informazione», ha scritto il "Guardian" citando vari esperti inglesi; «è la guerra del "soft power" che ha rimpiazzato la Guerra Fredda», e i russi e i cinesi la stanno vincendo... Notevole, in queste frasi, la terminologia militare: i britannici in panico confessano di aver sempre considerato l’informazione un’arma di guerra, ossia propaganda. Sulla stessa linea militarista, Peter Horrocks, che fino a poche settimane fa è stato a capo delle informazioni globali BBC, dice «il servizio estero della BBC è financially outgunned», ossia è superato in volume di fuoco finanziario. Ed ha chiesto urgentemente più soldi dal Governo, specificamente maggior finanziamento per una copertura extra sull’Ucraina».Ma in realtà, la BBC, che trasmette in 28 lingue, ha un bilancio di 382 milioni di dollari; Russia Today ha un budget complessivo di 271 milioni di dollari. Dunque non è vero che BBC è financially outgunned. Il punto è, come commenta Dedefensa, che chiedono denaro perché «è il solo rimedio, la sola arma e il solo mezzo di resurrezione che riescono ad immaginare». Ed è rivelatore che chiedano più soldi per coprire meglio l’Ucraina: in realtà, RT ha acquistato più audience proprio coprendo la crisi ucraina in diretta, quando i suoi animosi inviati sul campo hanno mostrato le case incendiate dall’esercito di Kiev, i poveri abitanti bombardati, e i civili morti ammazzati per le strade del Donbass.

Ma prima, avevano fatto lo stesso a Gaza, documentando le atrocità israeliane da dentro la Striscia, assediati fra gli assediati, fra le esplosioni e le macerie; e prima ancora, sono stati servizi audacissimi al seguito immediato delle truppe combattenti del Governo siriano, casa per casa, sotto il fuoco. Per non parlare dei servizi sugli Stati Uniti, che rivelano la miseria americana, l’abbandono in cui sono lasciati i reduci e mutilati di guerra americani, la guerra civile, razziale e sociale che cova sottopelle, il fracking che fa uscire dai rubinetti dei poveri acqua sporca e puzzolente: tutte le verità che i network americani trascurano. E tutti i reporters e gli analisti sono americani o britannici, anche se spesso (non sempre) con cognomi russi. Il fatto che Larry King, la superstar della tv, sia passato a "Russia Today", dovrebbe dirla lunga sul cambiamento in corso. Il vantaggio della tv russa, commenta Dedefensa, «è che sull’Ucraina, i russi lavorano sulla verità della situazione, mentre gli anglosassoni lavorano su una narrativa che è totalmente contraria alla verità della situazione: appoggiano la loro comunicazione sulla premessa iniziale e fondamentale che l’Ucraina s’è “liberata” democraticamente da tutte le influenze straniere (leggi: russe), quando si sa esattamente, e ciò senza alcuna discussione, che il 22 febbraio scorso c’è stato un colpo di Stato del blocco occidentale, gli USA in testa, per la presa del potere a Kiev». In conclusione: oggi, "La Pravda"(ridicolo ed albagioso organo della «narrativa» ufficiale sovietica) è diventata la BBC.


di Maurizio Blondet – 27/12/2014 – Effedieffe.com



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