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venerdì 22 giugno 2012

MARCO DELLA LUNA: LIBERARSI DAL MONOPOLIO MONETARIO


LIBERARSI DAL MONOPOLIO MONETARIO

Mantova, 22.08.11 Marco Della Luna
L’attuale malandare finanziario ed economico non è correggibile con i mezzi sinora attivati dai governi perché è dovuto al fatto che un “bene” indispensabile come la liquidità è oggetto di monopolio privato da parte del cartello bancario, il quale produce liquidità a costo zero per sé e la cede a interesse composto, creando una spirale di indebitamento inarrestabile che porta matematicamente l’economia al collasso e conferisce a quel monopolio il potere politico sulle nazioni. La soluzione starebbe nel sostituire il monopolio privato con un monopolio pubblico che emettesse una moneta non indebitante.
Il mondo è dominato e regolato dai monopoli, dai cartelli. Si decanta il libero mercato, ma il libero mercato praticamente non esiste, perché ne mancano presupposti fondamentali: la trasparenza dei patrimoni e delle attività delle imprese, la parità di informazione, la neutralità delle istituzioni, e altri. Per contro, esiste una rete mondiale dei monopoli delle cose fondamentali: materie prime, energia, informazione, tecnologie strategiche, ma anche e soprattutto monopolio di credito e moneta. Questo fatto imprime ai mercati, al mondo e al suo divenire sociale, economico e politico, un andamento prevedibile, di cui oggi osserviamo una fase culminante, e che in effetti avevo predetto (in Euroschiavi, Arianna 2005-2007 e in La Moneta Copernicana, Nexus 2008).
Che cosa implica il regime di monopolio? Implica che il monopolista – singolo o cartello (trust) –, non avendo concorrenza, può applicare un sovrapprezzo monopolistico, ossia farsi pagare un prezzo superiore a quello che sarebbe il prezzo di libero mercato. In un mercato competitivo, se il costo di produzione di un litro di benzina è 1, e io produttore lo metto in vendita a 1,5 più le tasse, tu, mio concorrente, potrai portarmi via il mercato mettendolo in vendita a 1,3, e così mi obbligherai a scendere anch’io a 1,3. Il prezzo tenderà a livellarsi al costo di produzione, e il costo di produzione a ridursi grazie a migliorie tecnologiche e aziendali, stimolate dalla competizione.
Non così in un mercato monopolista. Se noi tutti produttori di benzina ci mettiamo d’accordo, facendo cartello, di non vendere a meno di 1,5, o di 1,7, o di 2 al litro, e impediamo in qualche modo ad altri di entrare nel mercato e farci concorrenza, allora i consumatori dovranno pagare ciò che noi pretendiamo, e noi tutti guadagneremo moltissimo.
Altro esempio: se vi è un monopolio della telefonia fissa, o dei treni, o dell’energia elettrica in una determinata area, il monopolista potrà imporre tariffe molto superiori ai suoi costi di produzione, perché chi ha bisogno del suo servizio non ha scelta: se vuole servirsi del treno, del telefono, dell’elettricità, deve comperare da lui. Può però decidere di servirsi di beni concorrenti, alternativi a quelli erogati dal monopolista, ossia dell’automobile invece che del treno, del telefono cellulare invece che del fisso, e di un generatore privato di elettricità. Può anche decidere di consumare meno, di risparmiare, su treno, telefono ed elettricità. Il limite della possibilità per il monopolista di sfruttare la sua posizione di vantaggio per spremere sempre più denaro dal mercato, è dato dalla elasticità della domanda, ossia dal fatto che, oltre certi livelli di prezzo, la domanda si riduce e tende a cessare. Ma che succede se non esistono beni alternativi, e se il suo bisogno non è riducibile, anzi aumenta col tempo? Se il monopolista riesce a impedire che la domanda cali al crescere del prezzo? Lo vedremo presto.
I monopoli possono avere dimensioni locali o globali, possono avere natura legale, ossia essere costituiti per legge (ad es. il monopolio dei tabacchi, o delle poste, o del gioco d’azzardo on line); oppure possono essere fattuali, cioè dovuti al semplice fatto che un determinato soggetto o trust di soggetti si è impadronito interamente del mercato grazie alla sua forza finanziaria o al possesso di tecnologie esclusive, o mediante la violenza e l’intimidazione.
Il monopolista, non avendo concorrenti, non è motivato a migliorare la qualità dei suoi prodotti o servizi, né a ingegnarsi per diminuirne il costo di produzione. Può permettersi di essere inefficiente. Non è nemmeno motivato a cercare di massimizzare la produzione, perché punta più a guadagnare sul sovrapprezzo, che sulla quantità. In generale, un regime monopolista del mercato di un certo bene o servizio genera minore produzione e maggiori prezzi rispetto a un regime di concorrenza.
Per tali ragioni, molti paesi fanno leggi contro i monopoli, i cartelli, i trust, a tutela della concorrenza, che invece, in teoria, spinge le imprese a migliorare la produzione e ad abbassare i prezzi. Però, di fatto, i mercati più importanti – materie prime, energia, informazione e altri – sono dominati da cartelli. Cartelli sovra-nazionali.
La strategia del mettersi d’accordo per guadagnare di più e con più stabilità è una scelta frequente e razionale per gli imprenditori, perciò non è buona per la loro immagine e per il buon funzionamento del cartello. Perciò essi tenderanno a nascondere i loro accordi e le loro trattative, oppure – nel caso dei grandi monopoli mondiali – a presentarli come consultazioni e coordinamento nell’interesse globale della stabilità economica. Orienteranno i mass media a non parlarne o a parlarne in termini aggiustati, e a screditare agli occhi dell’opinione pubblica la corretta analisi economico-imprenditoriale dell’esistenza e dell’azione del cartello come teorie complottiste o dietrologiche.
Il monopolista può decidere di privare dei suoi prodotti, per un certo periodo di tempo, un determinato territorio o un determinato paese, ad es. per far accettare prezzi significativamente più alti, o come mezzo di pressione sul governo del paese in questione, finalizzata ad ottenere un vantaggio (privilegi fiscali o contributivi, una grossa commessa, la costituzione di un monopolio legale) o un mutamento legislativo o politico.
Quanto più il bene o servizio oggetto di monopolio è importante, vitale, indispensabile, tanto più caro il monopolista può farlo pagare, guadagnando maggiormente. Il petrolio è un esempio notissimo di ciò. Il cartello petroliero ne regola sia il prezzo che la quantità estratta – cioè il prezzo, come pure l’offerta, non è regolato dal rapporto di domanda e di offerta, ma dalla decisione del cartello: il mercato diviene così un mercato contingentato.
La possibilità, per i monopolisti (per es., i petrolieri, i cementieri), di aumentare il prezzo di loro beni e servizi, e la impossibilità di fare altrettanto per i fornitori di beni e servizi che non hanno il vantaggio del monopolio, fa sì che la società aumenti tendenzialmente la spesa (la quota di reddito) che destina agli acquisti di beni e servizi dei monopolisti, riducendo di conseguenza la spesa che destina agli acquisti di beni e servizi di non monopolisti (ristoratori, artigiani, lavoratori, professionisti); quindi il reddito di questi tenderà a diminuire a vantaggio dei monopolisti. Insomma, i margini di utile, il reddito, delle categorie che non dispongono di una posizione monopolistica tende a ridursi in favore di quelle che dispongono di una tale posizione.
Orbene, come dicevo, praticamente tutti i principali beni e servizi sono oggetto di monopolio cartellistico. Lo sono anche il denaro e il credito: tutto il denaro legale (cartamoneta) e il credito è creato da soggetti a ciò abilitati dal sistema bancario, ossia dalle banche: banche di emissione (come la BCE e la Fed) che emettono il denaro legale, la cartamoneta. E banche di credito, che emettono mezzi monetari, quali attivi di conti correnti, assegni circolari, bonifici, lettere di credito, promissory notes, consistenti in promesse di pagare cartamoneta al loro presentatore (se tu hai un assegno circolare o un attivo di conto corrente, puoi andare dalla relativa banca ed esigere che te li paghi in cartamoneta, in valuta legale).
Quanto costa alle banche creare denaro o credito? Nella storia, sono esistiti sistemi monetari in cui la moneta era di carta, ma la banca emittente teneva nei suoi forzieri il controvalore in oro, sicché per emetterla doveva acquisire oro, quindi l’emetterla, il prestarla, aveva un costo, e il portatore poteva presentarsi alla banca emittente e richiedere di cambiare la carta-moneta in oro. Però perlopiù la banca emittente deteneva una riserva frazionaria, diciamo un 10% del valore della cartamoneta o del credito emesso. Quindi per prestare 100 sosteneva un costo di 10 e realizzava, sul capitale, un utile di 90 – meno i costi fissi e la percentuale di sofferenze. In più lucrava gli interessi.
Nel sistema contemporaneo, creare moneta o credito non costa nulla al sistema bancario, perché esso li crea senza garantirli con una copertura aurea o di altro bene a valore proprio; e perché il portatore di denaro o di credito non può esigere dalla banca la loro conversione in oro o altro valore. Le banche hanno sì riserve, ma queste sono, a loro volta, costituite da cartamoneta o denaro creditizio, privi di costo e di valore propri. Hanno anche riserve in oro, ma queste non hanno la funzione di garantire le emissioni di denaro o credito.
La liquidità si compone di monete metalliche, emesse dallo stato, per un valore trascurabile; di valuta legale (cartacea ed elettronica) emessa dalle banche centrali di emissione), che costituisce l’8% circa del totale; e da moneta creditizia (o bancaria o contabile o virtuale) emessa dalle banche di credito sotto forma di promesse di pagamento (assegni circolari, attivi di conti correnti, lettere di credito, etc.) denominate in valuta legale.
Tutta la liquidità (tranne le monetine) è nata, ultimamente, da un indebitamento verso il sistema bancario del soggetto che richiede liquidità ad esso. Lo stato ottiene liquidità cedendo in cambio i suoi buoni del tesoro, che sono promesse di pagamento, ossia debito; oppure la prende a prestito. Gli altri soggetti ottengono credito promettendo il pagamento di capitale e interesse. Vi sono altre operazioni di creazione monetaria interbancaria, che ho spiegato altrove (dark pool finance).
Bisogna anche chiarire che l’erogazione del credito da parte delle banche deriva solo in minima parte dalla raccolta, ossia il denaro che la gente deposita presso di esse percependo un interesse, seppur minimo. Esse non hanno bisogno di tale denaro. Innanzitutto, i depositi, i versamenti, i bonifici, gli assegni circolari, etc., consistono essi stessi , quasi interamente, in liquidità creata dal sistema bancario senza copertura, a costo zero, priva di valore proprio. Inoltre, quando la banca di credito crea liquidità emettendo un assegno circolare e consegnandolo al cliente che ha chiesto un prestito, per emettere l’assegno circolare non ha che da compilarlo, non attingendo da una sua cassa, ma imputando l’’uscita, nei suoi conti, come una partita che non è necessariamente corrispondente a valori reali, dato l’effetto leva che viene usato nel moltiplicare la base monetaria. Peraltro la leva o moltiplicatore parte non da oro o denaro reale, bensì da altro denaro contabile, creditizio. In aggiunta, il calcolo della riserva obbligatoria non comprende alla base alcuni aggregati ( ad esempio i PCT ed i titoli del debito – quale debito? – con scadenza originaria superiore ai due anni etc. ) e, per meglio tutelare il sistema bancario in caso d’improvviso shock di mercato, la rilevazione degli aggregati viene differita di due mesi.
Analogamente, la banca di emissione, quando emette banconote, non ha bisogno di garantirle con qualcosa, non sostiene costi. La differenza tra l’assegno circolare emesso dalla banca di credito e la cartamoneta emessa dalla banca, è che il portatore dell’assegno circolare può esigere che la banca di credito emittente glielo cambi in cartamoneta (valuta legale – non in oro o altro bene reale, dotato di valore proprio), mentre il portatore di cartamoneta non può esigere alcunché dalla banca centrale emittente della cartamoneta (in passato sono esistiti sistemi in cui il portatore di banconota poteva esigere che la banca di emissione gliela cambiasse in oro o argento).
Il denaro e il credito – che chiameremo, nell’insieme, “liquidità” – sono un fattore, un “bene” assolutamente necessario e indispensabile. Quindi la comunità bancaria, detentrice del monopolio della loro creazione e della fissazione del tasso di interesse, può realizzare sulla cessione della liquidità un profitto altissimo, praticamente del 100%, dato che il costo di produzione è nullo.
Però la liquidità è tutta creata a debito di chi la domanda – stato o consumatore o imprenditore che sia – e il debito è soggetto ad interesse composto. Il che implica, matematicamente, che se io, sistema bancario, creo liquidità totale per 100 che cedo a prestito all’insieme della società, col tasso del 10% annuo composto, dopo un anno l’insieme della società mi deve 110, dopo due 121, dopo tre 133,10, dopo quattro 146,41, dopo cinque 161,05, dopo sei 177,16, dopo sette 194,88, dopo otto 214,37, dopo nove 235,81, dopo dieci 259,39. Però in tutto io ho creato 100, quindi l’insieme della società non ha il denaro con cui pagarmi, con cui estinguere il debito, perché esso non esiste. Qualcuno più bravo può riuscire a pagare ed estinguere i propri debiti, prendendo il denaro di altri; ma, nel suo insieme, la società non può farlo.
In alternativa, immaginiamo ora che, ogni anno, la società mi paghi l’interesse, prendendolo dai 100 che io ho creato: dopo un anno la liquidità da 100 scenderà a 90, dopo due a 80, dopo tre a 70, dopo quattro a 60… e dopo dieci a zero, però la società dovrà ancora il capitale, ossia 100. In realtà, però la società non può privarsi della liquidità per pagare gli interessi annualmente maturanti, perché la liquidità le serve per i suoi pagamenti e investimenti. Una società che si priva della liquidità per pagare i debiti si demonetizza, taglia gli investimenti, la spesa sociale, vede moltiplicarsi le insolvenze, va in recessione.
Perciò quello che di fatto avviene è che la società nel suo complesso (settore pubblico, settore privato) non rimborsa, non estingue mai il suo debito verso il sistema bancario, derivante dall’ottenimento della liquidità, bensì richiede continuamente ulteriore denaro al sistema bancario per pagare gli interessi sul debito per il denaro già ottenuto, e per aumentare la sua dotazione di denaro, come richiede l’aumento del valore nominale degli scambi, offrendo ulteriori beni in garanzia. Ma ogni volta che la società ottiene ulteriore denaro dal sistema bancario, aumenta il proprio indebitamento complessivo verso di esso, e la quantità di interessi che deve pagare ad esso. E’ una spirale espansiva, riscontrabile nelle curve storiche dell’indebitamento e del pil.
Quando l’insieme della società non riesce più a ottenere dal sistema bancario il rinnovo dell’intero credito-liquidità, anzi l’ ampliamento de credito-liquidità (richiesto sia per pagare il crescente ammontare di interessi passivi, che il crescente ammontare nominale delle transazioni dovuto alla crescita economica e all’aumento dei prezzi), esso scivola o precipita nella recessione-deflazione, con ondate di insolvenze, disinvestimenti, licenziamenti – ciò che avviene oggi.
Quindi, grazie al suddescritto sistema di liquidità creata mediante accensione di debito soggetto a interesse composto, la comunità bancaria, come cartello, si procura non solo un guadagno del 100% sul capitale creato, ma pure un guadagno pari agli interessi percepiti. E, cosa ancora più importante, mediante il meccanismo dell’interesse composto, quindi mediante lo stesso atto di erogare liquidità a interesse composto, essa crea nella società il bisogno, crescente nel tempo, di ottenere ulteriore liquidità per pagare gli interessi passivi. Quindi il sistema bancario eroga un bene che soddisfa sì la domanda nel presente, ma crea automaticamente maggiore domanda nel futuro – maggiore e più impellente, meno elastica. Essa trascende, di tal guisa, il limite tipico del profitto del monopolista, quello posto dall’elasticità della domanda, ossia, che se il monopolista fissa prezzi troppo alti, la gente, le imprese, comperano sempre meno il suo prodotto. Ne consegue che il profitto del sistema bancario non può che continuare a crescere.
E cresce non linearmente, ossia 100, 110, 120, 130, 140… bensì, per effetto dell’interesse composto, esponenzialmente: 100, 110, 121, 133,10… cioè secondo una curva che, quanto più passa il tempo, tanto più si impenna, tanto più accelera. Ciò comporta, matematicamente, alcune ovvie conseguenze, che sono oggi tutte empiricamente constatabili:
-La quantità di debito è sempre superiore alla quantità di liquidità;

-Più passa il tempo, più tale differenza aumenta;
-Più passa il tempo, più rapidamente cresce questa differenza;
-Più passa il tempo, più aumenta l’indebitamento della società verso il sistema bancario;
-Questa differenza, questo eccesso di credito, viene cartolarizzato, cioè trasformato in titoli finanziari offerti a risparmiatori e speculatori; la maggior parte dei grandi redditi e patrimoni è collocata, assorbita, in tali titoli;
-Questi titoli possono essere usati come collaterali o pegni per ottenere ulteriore credito;
-Più passa il tempo, maggiore è la quantità di denaro in termini assoluti, e la percentuale di reddito in termini relativi, che la società (settore pubblico, imprese, famiglie) devono destinare al pagamento degli interessi passivi, e che le banche lucrano;
-Ossia, più passa il tempo, maggiore è la quota del valore prodotto dalla società, che il sistema bancario lucra;
-Più passa il tempo, più è necessario che il pil cresca, per tener dietro al crescere degli interessi passivi che la società deve pagare;
-Le banche vendono in parte (dopo averli coriandolizzati, ossia ridotti in piccoli pezzi) i loro crediti, anche quelli verso gli stati, a risparmiatori, fondi pensione, fondi comuni, imprese, facendoseli pagare;
-Poiché il sistema bancario realizza il suo profitto nel rivendere i suoi crediti cartolarizzati, ha interesse a far credito anche a soggetti che sa che non pagheranno (mutui subprime), perché scaricherà il rischio, la perdita, sui compratori di tali crediti cartolarizzati;
-Le autorità monetarie di controllo, essendo controllate dal sistema bancario, non impediscono tali pratiche; né le impediscono i governi, essendo dipendenti dal sistema bancario per il proprio rating e finanziamento;
-Anche attraverso il ricorso a contratti derivati, a indici, a futures, si gonfia una mole di titoli finanziari denominati in valuta legale; questa mole è multipla di decine di volte del valore aggregato di tutti i beni reali esistenti e del prodotto lordo mondiale; essa assorbe la gran parte dei redditi disponibili e dei grandi patrimoni; offrendo una redditività superiore a quella degli investimenti nel settore produttivo, contribuisce a sottrarre liquidità a questo (agli investimenti e ai consumi) e a mandarlo in contrazione;
-Col passar del tempo, il crescente peso degli interessi passivi, il crescente peso dei costi finanziari per l’impresa, la diminuente redditività netta degli investimenti, l’erosione dei margini di profitto, la riduzione della liquidità disponibile in quanto assorbita dal pagamento degli interessi passivi, spingono l’economia reale a rallentare progressivamente, e a fermarsi, poi a contrarsi, quando il costo finanziario (interessi passivi) diviene maggiore dei ricavi (se devo pagare 10 di interesse per aumentare i miei ricavi di 9, mi conviene non solo non investire ulteriormente, ma disinvestire e ridurre la produzione e l’impiego);
-Se la crescita del pil rallenta a lungo o si ferma o si inverte, il sistema monetario, creditizio, bancario, entra in crisi per il venir meno del reddito necessario a pagare gli interessi; singole banche possono fallire; i titoli finanziari derivati da crediti divenuti insolventi, divengono per conseguenza privi di valore, non sono più liquidi (vendibili contro denaro), non danno più reddito (interessi attivi, cedole) e non sono nemmeno più accettati come garanzie; di conseguenza, si ha una brusca contrazione del credito e della liquidità, ondate di insolvenze, licenziamenti e recessione; la mole della ricchezza finanziaria teorica tende a esplodere in bolle;
-Il mondo finanziario, per difendere il suo business, ossia per mantenere gli investitori nonostante tali scoppi, fornisce attraverso i mass media e le istituzioni, anche scolastiche, spiegazioni delle crisi come di accidenti evitabili, e annuncia l’istituzione di misure di prevenzione e contenimento di crisi future;
-Tale scoppio di bolle finanziarie distrugge (titoli di) credito, quindi va a ridurre la differenza, l’eccesso di credito-debito sulla liquidità esistente, sul reddito; in tal modo tende a sbloccare l’economia; esso è dunque inevitabile, è un fenomeno fisiologico e ricorrente;
-Quando però la frequenza degli scoppi aumenta, quando essi si succedono quasi ininterrottamente e tuttavia non riescono a sbloccare l’economia liberandola dall’eccesso di credito-debito, ossia di interessi passivi, allora si approssima la rottura del sistema e questo non è più riequilibrabile o riparabile, e la recessione è inevitabile;
-I capitali tendono a lasciare gli investimenti produttivi e a collocarsi in beni-rifugio, come immobili, oro fisico, titoli aurei; ma gli immobili sono minacciati dalla svalutazione e dall’imposizione fiscale, l’oro fisico è minacciato dalla requisizione statale (già avvenuto nella storia); i titoli aurei sono insicuri per il crescente rischio di insolvenza delle banche emittenti e per il fatto che il loro ammontare è un multiplo dell’oro realmente esistente;
-La recessione, diminuendo il pil e (tendenzialmente) il gettito fiscale, diminuisce le risorse con cui gli stati dovrebbero pagare interessi e capitale del loro debito pubblico; quindi aumenta il rischio di default e aumentano i tassi di interesse che gli stati devono pagare sul loro debito pubblico; e ciò accresce ulteriormente la recessione e il rischio di default, quindi i tassi di interesse del debito pubblico e privato, in una spirale distruttiva;
-I titoli del debito pubblico dei paesi più avanti in questa spirale vengono comperati forzatamente, a condizioni fuori mercato, dalle banche centrali di emissione (o da agenzie finanziate con soldi dei contribuenti) al fine di sostenerli e calmierare i tassi; i capi di dette banche acquisiscono quindi un potere di condizionamento e direzionamento politico degli stati in difficoltà: finanziarizzazione della politica;
-vengono tagliati gli investimenti per infrastrutture, sviluppo, ricerca; ciò deprime ulteriormente il pil, soprattutto a medio termine, rendendo tendenzialmente impossibile il rimborso, o anche il servizio, del debito pubblico;
-Il potere politico si concentra così nelle mani dei direttori delle banche centrali di emissione, le quali sono a guida privata, non soggette a controllo o responsabilità democratiche, non soggette a revisione contabile e non trasparenti nelle loro attività (diritto alla segretezza e alla criptazione), e in larga parte sono per giunta di proprietà privata (Bankitalia lo è alò 95%),
-L’audit, o verifica contabile, della Fed, eseguito nell’Agosto 2011 per la prima volta, ha in effetti scoperto che la Fed aveva speso 13.000 miliardi di Dollari per il bailout di numerosi soggetti finanziari stranieri negli ultimi 6 anni, senza approvazione né informazione del Congresso e del Presidente; ovviamente tali erogazioni hanno avuto contropartite politico-economiche esse pure tenute segrete e non ancora disvelate;
-(in tal senso si spiega perché è stata fatta un’unica banca centrale europea senza fare un’integrazione politica europea, e senza unificare i debiti pubblici: si sapeva che l’integrazione delle politiche dell’Eurozona sarebbe stata fatta dal direttorio della BCE via via che i paesi euro sarebbero entrati in crisi e avrebbero avuto necessità che la BCE comperasse i loro titoli; allora il direttorio della BCE sarebbe divenuto, come oggi è divenuto, il supergoverno dei paesi in crisi);
-In questo modo il cartello monopolista della moneta e del credito raggiunge non solo lo scopo connaturale e ideale del monopolista, ossia di accaparrarsi tutto il reddito pubblico e privato come corrispettivo per l’erogazione di ulteriore credito, non solo tutti gli assets pubblici e privati come garanzie, ma raggiunge anche l’ulteriore scopo di accaparrarsi il potere politico, istituzionale, governativo, lasciando agli organi pubblici costituzionali il ruolo di esecutori e di esattori in favore del monopolista, e di capri espiatori responsabili verso la società;
-Le misure di risparmio, rigore, i tagli, le maggiori tasse, la lotta all’evasione, non hanno effetto sulle cause del male, perché non le toccano: falliscono non perché siano di quantità insufficiente, ma perché sono di natura inidonea (come curare una gamba rotta con un purgante, spiegando che bisogna purgare per perdere peso e alleggerire così il garico della gamba);
-L’Italia e buona parte del mondo si trovano o stano entrando in questa fase; la recessione evolve in depressione, mentre, come condizione per ricevere il necessario, ulteriore credito, crescente quota del reddito viene destinata al servizio del debito, e crescente parte dei patrimoni a sua garanzia; il potere politico viene assunto dal cartello monopolista;
-Tutto ciò è la automatica conseguenza di un monopolio che usa moneta e credito come strumenti per aumentare il proprio potere e non per l’economia o la società; era perfettamente prevedibile ed è stato in effetti previsto; governi, ministri, governatori di banche centrali che non lo hanno previsto e che insistono per rimedi inefficaci sono o incompetenti o mentitori interessati; in ambo i casi, essi sono oramai stati smascherati e delegittimati dai fatti, assieme alle loro analisi, raccomandazioni, prescrizioni e misure legislative.
La via d’uscita da questa situazione distruttiva esiste e si basa su principi semplici. Peraltro è una via di uscita teorica, e che presuppone che il potere effettivo sia assunto da integerrimi rappresentanti dell’interesse collettivo. Inoltre, avrebbe l’effetto di portare a uno sviluppo economico-industriale tanto intenso, da esaurire rapidamente le materie prime e da precipitare il mondo in una crisi ecologica.
Una prima considerazione è già risolutiva: chi crea il valore reale, la ricchezza reale, che a loro volta danno valore alla moneta e al credito, non è il sistema bancario o finanziario, ma quello produttivo. La liquidità è solo uno strumento per gli scambi. Se il sistema che produce la liquidità, ossia il sistema bancario, funziona male, vuole espropriare la ricchezza reale e i diritti politici ai suoi produttori, allora si può sostituirlo, insieme con la sua moneta. E sostituirlo non costa nulla, non comporta danno, appunto perché la sua moneta non ha valore proprio (è pezzi di carta o insieme di registrazioni telematiche), e può essere sostituita con una nuova moneta, prodotta a costo zero, con cui si estinguerà il debito pubblico.
In altre parole: la ricchezza reale, i beni, i servizi, i redditi – in una parola, tutto ciò che è utile, che serve – sono creati dal settore produttivo della società, non dal sistema bancario. Quindi è assurdo, illogico e ingiustificato che il settore bancario si ritrovi a credito verso le società e in condizione di dettare le sue politiche. Esso, non producendo ricchezza reale, non dovrebbe avere alcun diritto e alcuna pretesa sui beni e sui redditi della società. La cartamoneta non ha valore proprio, e il denaro creditizio nemmeno, perché consiste in promesse di cartamoneta. L’una e l’altro possono essere creati a costo zero dallo stato. Le banche private non possiedono alcuna qualità o, alcuna dotazione esclusiva, che sia richiesta per crearli, e che lo stato non possegga.
Quindi il monopolista privato della moneta e del credito, ossia la comunità dei banchieri, che assurdamente si sta impadronendo di tutto il reddito e di tutto il patrimonio e di tutto il potere politico della società senza produrre alcun bene, ma semplicemente attraverso la pretesa del pagamento di debiti per interessi su un valore mai erogato, può essere semplicemente eliminato e sostituito con un organo pubblico che emetta il denaro – denaro creato direttamente dallo stato, a costo zero, senza indebitarsi, e immesso dallo stato in circolazione in diversi modi: spese dirette, investimenti, prestiti, etc.;
Tale denaro può essere usato per realizzare la condizione necessaria e indispensabile per il risanamento, ossia per estinguere il debito pubblico pagando i crediti di coloro che, in buona fede, hanno comperato dalle banche titoli del debito pubblico – salva la rivalsa verso le banche cedenti e i loro azionisti, amministratori, collaboratori;
Per far propria concretamente questa possibilità, attuata in effetti da diversi ordinamenti nel passato e nel presente, vi sono altri punti da capire.
Immaginiamo di essere un’associazione culturale che organizza un concerto pubblico, a cui si assiste pagando un biglietto di 10 Euro. Avendo 1.000 posti a sedere, io, presidente dell’associazione, vado in tipografia e chiedo un preventivo per stampare 1.000 biglietti. Il tipografo mi dice: “Volete 1.000 biglietti … ogni biglietto vale 10 Euro… quindi 1.000 per 10 fa 10.000… ve li stampo per 10.000 Euro. Oppure ve li do a prestito e voi mi pagate il 6% annuo sul capitale di 10.000”. Ovviamente, gli dirò che vuole truffarmi, perché è vero che i biglietti li produce il tipografo, ma il valore dei biglietti, ossia il concerto, lo produciamo noi, l’associazione culturale. Ebbene, i biglietti stampati dalla banca sono come quelli stampati dalla tipografia: non hanno valore in sé, non costano praticamente nulla di produzione, il corrispettivo del loro valore è dato dalla società che crea, offre e compera beni e servizi; ma lo stato, a spese della società (dei contribuenti) li paga coi titoli del debito pubblico, gravati di interesse. Il tipografo, in tal modo, si sta impadronendo di tutto il reddito disponibile e dello stesso potere pubblico.
La banca centrale di emissione segna, nello stato patrimoniale del proprio bilancio, il denaro circolante come “passività”, come se esso rappresentasse un debito. In realtà, come molti economisti riconoscono, esso non costituisce una passività per la banca, perché le banconote in circolazione non danno alcun diritto verso la banca al loro portatore. E’ come se la Fiat segnasse al proprio passivo le automobili circolanti che essa ha venduto. Chiaramente è un abuso, è qualcosa di contrario alla realtà giuridica ed economica, che però consente alle banche centrali di occultare un forte componente attivo del patrimonio e del reddito.
Pensate anche a questa assurdità: se il denaro circolante emesso dalla banca di emissione è una passività, ha un valore patrimonialmente negativo, perché lo stato deve pagarlo con le nostre tasse? Chi mai paga per caricarsi di un debito? E’ palese che qui si sta mentendo per truffare il contribuente, e per costruire un enorme debito pubblico, attraverso il quale i banchieri poi potranno – anzi, adesso già possono – governare la società politicamente.
Immaginiamo ora che tu sia un imprenditore bisognoso di un finanziamento di 1.000.000 per comperare un capannone da Tizio, e che ti rivolga a me, banca Alfa, per un mutuo. Io ti richiedo molte cose, tra cui un’ipoteca sui tuoi beni per 2.000.000, 5.000 per spese e una promessa scritta di pagarmi 100 rate mensili di 15.000 l’una per capitali e interessi. Emetto un assegno circolare di 1.000.000 intestato a Tizio, Tizio lo riceve nel venderti il capannone, lo porta alla sua banca Beta, la quale glielo accredita sul conto corrente, che era in rosso di 200.000 e adesso va in attivo di 800.000. Da tale attivo Tizio ordina alla sua banca Beta di mandare un bonifico di 300.000 all’impresa che gli ha finito i lavori di costruzione; la banca Gamma dell’impresa accredita all’impresa i 300.000. La tua banca registra contabilmente un’uscita di cassa di 1.000.000 (assegno circolare) e un’entrata di un credito di 1.500.000, attualizzato a 1.200.000 – utile 200.000, su cui paga le tasse.
Apparentemente, niente di strano. Ma l’apparenza inganna. La banca Alfa che costi ha sostenuto per emettere quell’assegno, che le ha fruttato il credito di 1.500.000? Ha prelevato 1.000.000 dai propri forzieri? No, si è limitata a emettere un assegno circolare, un pezzo di carta stampata. Quindi l’utile non è 200.000, ma 1.200.000. C’è un milione in più, che è un profitto occulto e sottratto al fisco, a disposizione dei dirigenti della banca.
Perché quel pezzo di carta stampata vale, anche se è solo un pezzo di carta, sprovvisto di copertura? Vale perché è accettato dalle altre banche. E siccome le banche sono indispensabili, tutto ciò che la tua banca accetta come denaro accreditandotelo sul tuo conto corrente, tu lo accetti come denaro. Quindi il valore della moneta bancaria, creata a costo zero e senza copertura, è dato dal fatto che il cartello della banche, monopolista del servizio bancario-monetario-creditizio, lo accetta come denaro. La creazione del denaro bancario o creditizio è un gioco interno, di sponda, della comunità bancaria, che le consente di realizzare immensi profitti senza nulla rischiare, senza dichiararli, senza subire tassazione.
Aggiungiamo poi che, come già detto, se l’importo totale della liquidità esistente (money supply) è 100, esso è composto per 8 da denaro vero, legale, emesso dalle banche centrali di emissione, e per 92 da moneta creditizia emessa dalle banche di credito, e consistente in promesse di pagamento (assegni circolari, attivi di conti correnti, lettere di credito, etc.) di denaro vero (cartamoneta). Quindi queste promesse di denaro vero sono tutte scoperte, perché ovviamente promettono 92 ciò che invece esiste in misura di 8. E per giunta questo 8 si trova perlopiù nelle tasche e nei cassetti dei privati. In sostanza, la moneta bancaria è coperta solo per il 2 per mille circa. Il che vuol dire che gli assegni circolari sono tutti scoperti, nell’insieme. Che se tutti andassimo a richiedere il pagamento in contanti dei nostri attivi verso le banche (conti correnti, libretti, assegni circolari), otterremmo circa il 2 per mille in media. Quindi le banche sono tutte, per loro stessa natura, non solvibili.
Torniamo all’acquisto del capannone. Tizio di vende il suo capannone, che ha un valore reale, contro l’assegno circolare emesso da me, banca Alfa, privo di valore proprio e persino scoperto (come ora sappiamo), e la banca di Tizio, Beta, lo accetta come denaro buono. Quindi il mio assegno circolare, anche se è un pezzo di carta stampata, una promessa scoperta, ha nondimeno un potere d’acquisto: compera il capannone. E io, banca Alfa, posso dire a te che giustamente di mi pagare gli interessi sul milione, anche se io ti ho dato solo un pezzo di carta e non denaro vero, perché il mio pezzo di carta ha potere di acquisto. Ciò è vero. Ma il punto è un altro: come mai io banca, che non creo valore reale, ho il potere di emettere qualcosa che, pur essendo privo di valore proprio, pur essendo sostanzialmente un assegno scoperto, ha potere di acquisto? Quel potere d’acquisto io banca non lo creo, perché non creo valore. Io lo prelevo dal resto della società, che crea valore. Lo sottraggo, grazie al fatto che tu e Tizio lo accettate in cambio di qualcosa che ha valore. Se non lo accettaste, se lo trattaste per quello che patrimonialmente e giuridicamente è, ossia per un pezzo di carta privo di valore, io banca finirei di esistere. Il sistema bancario riesce ad impadronirsi di gran parte del valore reale prodotto dal resto della società grazie al fatto che il resto della società attribuisce ai pezzi di carta bancari un valore che essi non hanno oggettivamente, e paga su di essi gli interessi. Il sistema bancario poggia quindi sull’illogicità del comportamento collettivo.
L’esercizio del credito bancario privato è, insomma, un’attività di appropriazione unilaterale e surrettizia, del potere d’acquisto, della ricchezza reale prodotta dal resto della società – qualcosa di analogo a una tassa. Ne consegue che, contabilmente, la banca dovrebbe, nell’atto di erogazione del mutuo di 1.000.000, registrare in contemporanea un prelievo di potere d’acquisto di 1.000.000 a carico della società (addebitati al corpo sociale), un’uscita di cassa di 1.000.000 per l’rogazione del mutuo, un ricavo di un credito di 1.000.000 capitale più interessi attualizzati. L’utile, su cui dovrebbe pagare le tasse, sarebbe quindi di 1.000.000 oltre interessi.
Analogo discorso vale per la banca centrale di emissione, che, quando scambia cartamoneta per 1.000.000 contro buoni del tesoro di pari importo, dovrebbe segnare 1.000.000 di ricavi a carico della società, 1.000.000 di uscita di cassa a favore dello stato, 1.000.000 di crediti (oltre interessi attualizzati) di ricavo a debito dello stato, quindi utile 1.000.000 (oltre interessi). L’utile dovrebbe girarlo allo stato quasi interamente, in base al suo statuto. Il grosso dell’utile, però, non viene dichiarato e rimane, come fondo nero, nella privata disponibilità dei vertici della banca centrale.
Gli enormi fondi neri generati nei modi sud descritti dalle banche commerciali e dalle banche centrali di emissione possono essere trasferiti segretamente nel mondo grazie a circuiti bancari come Euroclear e Clearstream e anche attraverso la Banca dei Regolamenti Internazionali, cui trattati internazionali danno la facoltà di fare ciò, ed essere trasferiti e usati in paradisi bancari come le Cayman Islands, per agire sui mercati in via di aggiotaggio e altro.
Una revisione sia degli ingannevoli principi contabili utilizzati dalle banche ci credito e di emissione, sia della contabilità delle une e delle altre, consentirebbe l’azzeramento del debito pubblico verso di esse, la riduzione di quello privato, un fortissimo recupero di tasse evase o eluse, la nazionalizzazione per confisca a costo zero delle quote di controllo delle banche stesse, l’arresto dei loro vertici, la creazione di un sistema monetario e creditizio basato sulla realtà e sulla trasparenza, anche contabile (la contabilità deve riflettere la realtà giuridico-economica, non stravolgerla) in cui il denaro sia emesso dallo stato, che accredita a se stesso il potere d’acquisto che esso incorpora, registrando questa emissione per ciò che essa è, ossia una tassa prelevata dalla società. L’alternativa a questo è ciò a cui siamo diretti ora.Ma se l’unica alternativa all’utopia è l’inferno… stiamo freschi!
Mantova, 22.08.11 Marco Della Luna

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