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giovedì 17 maggio 2012

ANTONIO, UN MEDICO ABORTISTA:"MAI PIU' MORTE FINO ALLA MORTE"




di Benedetta Frigerio
Tratto da Tempi del 16 maggio 2012
«Quando praticavo gli aborti non esercitavo la professione di ginecologo ma di datore di morte».
Antonio Oriente, medico del Messinese ed ex abortista, non accetta eufemismi per parlare «degli omicidi che ho commesso», ma ci tiene a raccontare la sua storia perché «voglio raccontare quanto è bello spendersi per la vita anche se guadagno di meno e la vita è più faticosa». Appena laureato, non si fa troppe domande e comincia subito a praticare gli aborti. «La legge diceva che si poteva fare – racconta a tempi. it -. Non c’è modo migliore di evitare le proprie responsabilità. Sicuramente è più facile non chiedersi nulla e fare il pezzo di un ingranaggio, mettendo a tacere la propria coscienza». Anche se il disagio a volte si lasciava intravedere. «Accadeva che alla fine degli interventi, quasi inconsciamente, facevo terminare l’operazione alle infermiere: i resti umani dell’aborto che si mettono all’interno di una pezzuola da buttare tra i rifiuti ospedalieri li facevo raccogliere a loro». Chi voleva abortire andava da lui a chiedere aiuto: “Mio padre mi uccide se mi scopre”, “Ho messo incinta questa ragazza, ma sono sposato”. «Io pensavo di aiutarli a risolvere il loro problema. Ma mi sbagliavo: dandogli la possibilità di uccidere un figlio rovinavo anche loro e mentivo a me stesso». Solo con il tempo Antonio ha capito che «la vita non può essere un problema, che esiste sempre una soluzione alla morte e che la Legge 194/78 è ipocrita. Ora che do la vita per aiutare chi è in difficoltà lo verifico in continuazione: quante persone adesso mi ringraziano a posteriori». Ma per arrivare ad affermare queste cose, Antonio è dovuto passare attraverso un cammino difficile e doloroso.
«Dopo anni di vita da single – continua Antonio - ho incontrato una pediatra. Un donna che lottava per la vita e che amava i bambini. Mi ha sposato senza sapere che ero abortista e quando l’ha scoperto ha cercato di farmi smettere, ma io non ci sentivo proprio». La bellezza del matrimonio per Antonio porta con sé anche un grande dolore: lui e la moglie vogliono dei figli, che però non arrivano. «Tornavo a casa la sera e mia moglie piangeva. Così cominciai a crollare: ero stimato, risolvevo i problemi della sterilità altrui, ma davanti a mia moglie ero impotente. Davo risposte a tutti e non riuscivo a darne una a me». Una sera intorno alla 22 in cui Antonio piange con la testa fra le mani, una coppia di suoi pazienti che hanno problemi di infertilità vedono la luce del suo studio accesa. «Pensavano che avessi dimenticato di spegnerla. Sono entrati e mi hanno visto in uno stato penoso. Ho aperto loro il cuore e sono stati ad ascoltare. “Guardi – mi hanno detto – noi una soluzione in campo medico non l’abbiamo, ma c’è una strada attraverso cui si può trovare la pace. Venga ad un incontro di preghiera. Noi lì abbiamo cominciato a gustare la presenza del Signore nella vita”». Antonio declina l’invito, quelle parole sono troppo distanti e non gli dicono niente. La sua tristezza però aumenta e venti giorni dopo si ritrova a «vagare per le vie del paese. Ad un certo punto sentii la musica proveniente da un prefabbricato, pensavo fosse una discoteca. “Vado a ricaricarmi prima di tornare a casa”, ho pensato. Entrato nel locale, però, ho scoperto che era una chiesa dedicata alla Madonna del Rosario e che c’era il gruppo di preghiera del Rinnovamento nello Spirito di cui mi avevano parlato i miei pazienti». Da quel momento Antonio torna più volte, «anche se all’inizio mi sembravano un po’ matti», e comincia a cambiare, anche di fronte all’aborto. «Ho visto tutta la verità e cominciato a pregare davanti al crocifisso. Mi sono reso conto che chiedevo un figlio a un padre buono mentre uccidevo quelli degli altri».
Così Antonio si decide, prende un pezzo di carta e scrive: “Mai più morte fino alla morte”. «Ho consegnato il biglietto al marito della coppia che seguivo: “Tieni questo. Per te è solo un pezzo di carta, ma per me è un testamento spirituale. Se mai tornassi indietro mettilo con forza davanti alla mia faccia”. Da quel giorno non ho più smesso di lottare per la vita. E mi spendo giorno e notte per salvarla, anche andando a cercare i giovani nei loro luoghi di ritrovo». Antonio si scopre inarrestabile: «Viaggio in tutta Europa per combattere la cultura della morte, per dire che cosa sono aborto e fecondazione assistita, per dire che non c’è problema economico, famigliare o di relazione che non si possa affrontare e per raccontare che la vita ripaga sempre. Non mi può fermare nessuno: ora voglio tuteare la vita che ho bistrattato e ucciso per tanti anni». Antonio non si è mosso per senso di colpa ma «per amore. Non per la carriera o per i soldi. È un onore per me alleviare le piaghe del Signore che soffre nei malati».
Prima di convertirsi Antonio poteva dire di avere un brillante carriera. Dopo la conversione e il rifiuto di praticare aborti, le cose sono cambiate: «Contrariamente a quanto si dice gli obiettori hanno grossi problemi. Ho ricevuto molte minacce dai miei superiori: “Non puoi rifiutarti di dare la pillola”. E ancora: “Non puoi rifiutarti di rilasciare i certificati abortivi, non esiste obiezione di coscienza”». Antonio però non ha ceduto alle pressioni che gli arrivavano dall’alto e ha deciso di affrontare il problema alla radice: «Tutti possono scegliere di non essere ingranaggi, ma c’è bisogno di educare le coscienze e anche di abolire la Legge 194/78 perché non è mai stata applicata». Perché? «La legge è contraddittoria in sé: permette l’aborto e poi cerca di contrastarlo. Per questo nessuno si preoccupa di controllare le procedure. Mi ricordo di una donna che è venuta da me per abortire, io le ho detto di ripensarci, che l’avrei aiutata. Per legge deve passare una settimana di tempo prima di poter procedere con l’aborto. Dopo tre giorni l’ho incontrata per strada e lei in lacrime mi ha detto che era andata in ospedale e un medico le aveva rilasciato il certificato in anticipo, contro ogni procedura. Le cose ormai vanno quasi sempre così».
Oggi la vita di Antonio è più difficile ma lui ringrazia per quello che gli è capitato: «Ringrazio il Signore che l’ha resa davvero vita, che mi ha ridato la libertà, la possibilità di scegliere e di fare davvero quello che voglio e non quello che vuole la società. Ringrazio di essere diventato un medico, perché chi uccide non lo è. Il giuramento di Ippocrate ci dice che noi dobbiamo impegnarci per la vita e non per la morte. Purtroppo le persone disposte a dare la vita per gli altri sono poche. Ma io continuerò a lottare finché avrò forze, perché la libertà non ha prezzo: voglio raccontare quant’è bello spendersi per la vita anche se guadagno di meno e anche se è più faticoso».

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