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sabato 31 marzo 2012

ABORTO, PENSATECI DONNE PRIMA DI SOTTOPORVI A IVG PENSATECI,PENSATECI,PENSATECI ! E DOPO....... NON FATELO!!!







28 Marzo 2012 - 20:51

(ASCA) - Roma, 28 mar - Possibile nuovo caso di malasanita' a Roma, al San Camillo. Una giovane donna era andata all'ospedale per un aborto e, dopo l'intervento e i controlli, e' stata dimessa ed e' tornata a casa. La mattina successiva la ragazza si e' svegliata per andare in bagno e, dopo aver abbassato gli slip, ha trovato il feto. Il caso e' stato denunciato dai legali della giovane donna, a Radio Radio, nel corso della trasmissione 'Lavori in Corso'. Come spiegato dal legale della donna, la Procura della Repubblica di Roma si e' gia' attivata procedendo al sequestro di ogni elemento necessario per chiarire quanto accaduto. A raccontare la storia della ragazza il legale, che ha spiegato che ''la nostra assistita si era recata all'ospedale per un'interruzione volontaria della gravidanza, avendo accertato una malformazione del feto. L'intervento sembrava essersi concluso regolarmente ma, rientrata a casa, ha trascorso la serata avendo dei dolori che pensava fossero 'normali'. La mattina successiva, andando in bagno, nel tirarsi giu' lo slip all'interno ha trovato il feto. Naturalmemte e' svenuta''.


La ragazza, sotto shock - come raccontato dal legale -, si e' quindi recata presso un altro ospedale dove e' stata ricoverata nuovamente per gli accertamenti. Questa quanto accaduto alla giovane donna la cui storia e' nella cartella clinica ''sequestrata, insieme ad altro materiale utile per le indagini. Il sequestro e' avvenuto non solo presso l'ospedale in cui e' stato fatto l'intervento, ma anche presso il secondo che l'ha presa in cura''.








di Assuntina Morresi 
Tratto da Avvenire del 22 marzo 2012
Tramite SAFE - Salute femminile

È la prima morte australiana dopo un aborto con la pillola Ru486. La notizia è stata resa pubblica nei giorni scorsi da un coroner, ma il fatto è accaduto nel 2010.

Salgono quindi a 26 le donne morte dopo aver abortito con la "kill-pill", e vanno anche ricordate dodici persone cui la Ru486 è stata somministrata al di fuori di protocolli autorizzati.

Oramai non fanno più notizia, come se fosse normale che ogni tanto qualche donna muoia per aborto farmacologico, e "dimentica" che con questo tipo di procedura si muore di più che con l'aborto chirurgico. La pillola abortiva, infatti, si assume entro le prime sette (o nove, in alcuni Paesi) settimane di gravidanza, e il paragone della mortalità va fatto con aborti chirurgici effettuati nello stesso periodo, perché un intervento abortivo è più pericoloso con l'avanzare della gravidanza. La mortalità dopo un aborto entro i primi due mesi di gestazione è da sette a dieci volte maggiore con la Ru486, rispetto a quella registrata nello stesso periodo, dopo aborto chirurgico.continua

venerdì 30 marzo 2012

ICR + TERRAFERMA E' UNA LUCE NEL TUNNEL IN CUI SONO TANTI PICCOLI IMPRENDITORI

Uno psicologo per le aziende in crisi
di Renzo Sanna


Una manifestazione di imprenditori
Una manifestazione di imprenditori
Chiavari - Il pronto soccorso imprenditori non fa prestiti né regala idee innovative per uscire dalla crisi. Più semplicemente, mette uno psicologo a disposizione dell’imprenditore in difficoltà. C’è anche nel Tigullio, e in poche settimane ha già avuto diversi contatti. Richieste di consigli, per ora, ma vista l’esperienza di Terraferma in tutta Italia c’è da aspettarsi che gli approcci aumentino e diventino sos. Daniele Pavese è il referente per Chiavari e Genova di un’associazione che conta venti professionisti in tutto il territorio nazionale, e comunica strettamente con Icr (ImpreseCheResistono), un gruppo di piccoli e medi imprenditori che vuole andare «dove Confindustria e Confartigianato non vanno».
Terraferma, da semplice blog, in pochi mesi è diventato un punto di riferimento, con un solo obiettivo: aiutare gli imprenditori, spesso soli, a combattere il rischio di depressione, fortissimo in tempi di grande crisi. Il Levante ligure non fa differenza: «La solitudine nella quale si trova l’imprenditore in difficoltà - dice Pavese - è il nemico più importante da sconfiggere. Le persone che mi contattano mi parlano proprio di questo: non trovano la forza di affrontare la questione debiti in famiglia». È il primo, pressante problema, da cui derivano gli altri: «Le difficoltà nei pagamenti, il non riuscire a trovare la forza di licenziare». Soprattutto se le persone da tagliare sono amici o parenti, cosa frequente in casi di imprese a conduzione familiare, come tante ce ne sono nel Tigullio: «Qui i problemi riguardano aziende alberghiere e turistiche in genere, e il piccolo artigianato». L’intervento psicologico   LEGGI TUTTO


domenica 25 marzo 2012

NELL' INDIFFERENZA PIU' TOTALE I PICCOLI IMPRENDITORI CONTINUANO A MORIRE....UN "SISTEMA" CHE ISTIGA AL SUICIDIO???


CEPAGATTI - Un imprenditore del Pescarese, E.F., 40 anni, alle prese con una difficile situazione finanziaria della sua attività (fabbricazione di infissi), si è impiccato nei locali della sua azienda di Cepagatti (Pescara).
Il corpo è stato scoperto dai dipendenti. I carabinieri di Pescara, diretti dal capitano Claudio Scarponi, hanno appurato, anche dalle testimonianze degli operai, che l'imprenditore negli ultimi tempi era preoccupato e depresso proprio per le difficoltà economiche.
Strozzato dai debiti, e non più in grado di far fronte ai pagamenti, anche minimi, aveva progettato forse da tempo il proposito di farla finita e questa mattina all'alba, probabilmente dopo una notte insonne,


Luca Peotta detto


Cari tutti,
ho appena finito di fare una ventina di telefonate nella Rgione Abruzzo,contattando tutti gli imprenditori iscritti a IMPRESECHERESISTONO. La mia telefonata aveva uno scopo ben preciso: invitare gli imprenditori della zona a partecipare al funerale.
Non potrò essere fisicamente presente ma ho chiesto a chi parteciperà di portare il conforto alla famiglia da parte di tutti noi.
Grazie.
  • Antonio detto

    Ciao Luca sono appena tornato dal funerale, non c’era nessuna carica politica e tanto meno di associazioni di categoria, ho portato le mie condoglianze e quelle di Imprese che resistono.
    Scriverò alcune righe che ti farò avere.
    Ciao
    Antonio Catani
    Pescara

ESM O DICASI MES DEVE ESSERE FERMATO! FIRMIAMO TUTTI LA MOZIONE

sabato 24 marzo 2012

VOGLIAMO UN'EUROPA SOTTOMESSA ALL'ISLAM???



 di Magdi Cristano Allam
Sveglia Europa! Siamo diventati terra di conquista degli integralisti, estremisti e terroristi islamici con cittadinanza europea non solo senza rendercene conto ma addirittura aiutandoli, giustificandoli e persino condividendo la loro diabolica strategia volta a ridurci ad adoratori del loro Allah! Ormai il nemico pubblico della nostra civiltà laica e liberale dalle radici giudaico-cristiane, l’aspirante carnefice di tutti noi che non crediamo nel Corano e in Maometto, non solo è radicato dentro la nostra casa comune con una rete incontenibile di moschee, scuole coraniche, enti finanziari ed assistenziali islamici, tribunali sharaitici, ma è formalmente dei nostri, cittadino europeo al pari di noi, anche se di fatto ci odia al punto da legittimare il nostro massacro. LEGGI TUTTO

COME MAI SI SPONSORIZZANO I MATRIMONI GAY E SI ATTACCA L' ISTITUTO DEL MATRIMONIO ???

(di Alfredo De Matteocome mai l’establishment politico e culturale sponsorizza i matrimoni gay quando l’istituto stesso del matrimonio viene sistematicamente attaccato
L’istituto del matrimonio sta attraversando una crisi profonda: sempre con minor frequenza le coppie convolano a giuste nozze mentre aumentano sempre più i divorzi e le separazioni. Soprattutto i giovani non riconoscono il valore intrinseco del matrimonio e tendono ad equipararlo alla convivenza. In più, l’attuale crisi economica generale fa propendere le giovani coppie a scegliere la via più breve e meno costosa, magari rimandando il matrimonio a tempi migliori e più favorevoli, proprio come si fa per un viaggio in crociera o per una settimana bianca nelle migliori mete turistiche invernali.

D’altra parte, quasi tutte le legislazioni del mondo, soprattutto europee, tendono a svilire l’istituto matrimoniale, facilitando enormemente le pratiche di divorzio (il cosiddetto divorzio breve) e favorendo in tutti i modi possibili le unioni fuori dal matrimonio (coppie di fatto). Dunque, il matrimonio viene presentato come una bella ma sostanzialmente inutile, se non dannosa, pratica, retaggio di una cultura ormai sorpassata.LEGGI TUTTO





Fonte: CulturaCattolica.it


venerdì 23 marzo 2012


Smettiamola di usare la Chiesa per fare i propri comodi (una volta si diceva «porci comodi», ma non sembra più politically correct). E smettiamola anche di usare porporati anziani, definiti «massime autorità spirituali del nostro tempo», perché in qualche modo (qualsiasi modo!) diano l’imprimatur alle proprie convinzioni, facendole così passare come le uniche accettabili, in linea coi tempi, rispettose dei desideri degli uomini e delle donne d’oggi (ma soprattutto degli omosessuali, che di questi tempi sembrano essere l’unica categoria di persone degne di attenzione e di rispetto).

Quando si affrontano questioni delicate, forse sarebbe auspicabile un po’ di precisione, una capacità di inquadrare i problemi, una esposizione non apodittica. Così si permetterebbe al lettore di farsi una idea propria. Ma evidentemente è proprio questo ciò che nel mondo dei mass-media oggi non si vuole affatto, perché la logica imperante è la logica del potere e l’obiettivo è l’omologazione. Chi dissente stia zitto: non ha diritti. E se osa fare presenti le proprie ragioni (il caso Freccero docet) può solo essere brutalmente attaccato, offeso e svergognato (fino a usare epiteti, come culattone - che da titolo onorifico diventa la massima espressione del disprezzo - efascista, offesa buona per tutte le stagioni).

Nell’articolo del Corriere della Sera che riporta il capitolo del dialogo tra il Card. Martini e l’on. Ignazio Marino a proposito della omosessualità LEGGI TUTTO

CERNOBBIO: MONTI SPIEGA LA FORMULA "SALVO INTESE"...... CHISSA PERCHE' NON PARLANO COME MANGIANO?

Lavoro: Monti, ''salvo intese'' non significa che il testo e' aperto

24 Marzo 2012 - 17:31

(ASCA) - Cernobbio, 24 mar - La formula salvo intese sul ddl per la riforma del lavoro ''non significa'' che il testo e' aperto a modifiche prima della presentazione. E' quanto ha precisato il presidente del consiglio Mario Monti specificando che ''si tratta di una formula che ho appreso solo l'altro ieri e riguarda esclusivamente l'opera di affinamento tra il governo e il capo dello Stato prima della firma. Dunque il testo non e' aperto a eventuali correzioni prima della presentazione alle Camere, ha aggiunto Monti, indicando che poi il Parlamento fara' il suo iter.


Il presidente del Consiglio ha quindi lanciato un monito.



''Nessuno si illuda - ha detto - che forze anche importanti esterne al governo possano intervenire per cambiare i contenuti del provvedimento''. LEGGI TUTTO

DA IL SUSSIDIARIO UN ELOGIO A GIULIO SAPELLI ED AL SUO ULTIMO LIBRO "L'INVERNO DI MONTI"

L’inverno che ha trasformato l’Italia in una "dittatura"
sabato 24 marzo 2012

Giulio Sapelli sembra che dica: ma di che cosa stiamo parlando, in questo momento di crisi e di futuro incerto, dove “tutto è instabile, tutto rischia di rovinarci addosso”? Il suo ultimo libro - “L'inverno di Monti”, accompagnato dal sottotitolo “Il bisogno della politica” (edito da Guerini e Associati) - è un saggio che dovrebbe essere imposto agli studenti delle facoltà italiane di Economia, soprattutto alla Bocconi, e poi lanciato dagli aerei, stile D'Annunzio, su Montecitorio e Palazzo Madama, oltre che vicino ad alcune redazioni della famosa stampa nazionale, il nostro celebre “wacht dog” all'amatriciana, nella speranza che qualcuno recepisca qualche concetto. Non possiamo avere la pretesa che gli inquilini dei palazzi italiani vogliano comprendere.

Giulio Sapelli è un grande economista, con un pregio e una marcia in più, a nostro modesto parere, di alcuni suoi colleghi cattedratici: è innanzitutto un umanista, che studia e comprende l'economia. Un umanista che conosce la storia e i classici, che sa leggere la politica e quindi, analizzando i grandi epocali fenomeni economico-finanziari, ha presente, sempre, le necessità degli uomini, delle società fatte di persone in carne e ossa. È un merito raro in un periodo di “crudeltà sociale”, dove il il bilancio, il deficit, lo stock del debito, lo spread sembrano i primi attori del grande spettacolo che coinvolge il mondo, mentre gli uomini sono comparse occasionali, oppure cavie per esperimenti di architettura finanziaria o di ultimative scelte di politica economica LEGGI TUTTO

giovedì 22 marzo 2012

DA CORRISPONDENZA ROMANA: INTERVISTA A JOHN LAUGHLAND



Intervista al giornalista inglese John Laughland sul tema del fallimento dell'Europa in occasione della presentazione a Roma del libro del prof. Roberto de Mattei "L'euro contro l'Europa" organizzata presso la Fondazione Lepanto 

lunedì 19 marzo 2012

NON PERDIAMOCI, ALLE 17 DI DOMANI 20 MARZO, LA DIRETTA CON LIDIA UNDIEMI E LUCA CIARROCCA, PER SAPERNE DI PIU' SU - E S M -


Video conferenza in streaming sul tabù segreto dell'Ue, l'ESM



Luca Ciarrocca, direttore di Wall Street Italia, e Lidia Undiemi, studiosa di economia e diritto, chiedono trasparenza sull'ESM. 
Cittadini e sistemi democratici nella ragnatela finanziaria. Come uscirne? Questo il titolo della videoconferenza internazionale che l'economista Lidia Undiemi e Luca Ciarrocca, direttore di Wall Street Italia, daranno martedì 20 marzo a partire dalle 17 in streaming. Si parlerà del Meccanismo Europeo di Stabilità (ESM) sul quale c’è l'omertà più assoluta dei partiti e del governo Monti.


Dal trattato ESM al Fiscal Impact: luci ed ombre del governo europeo della grande crisi. 

E' passato poco più di un mese da quando Palermoreport.it e l'economista Lidia Undiemi hanno intrapreso il non facile percorso della denuncia contro la scelta di affidare il cosiddetto fondo salva-stati ad un'organizzazione finanziaria intergovernativa in un valzer di immunità e privilegi


UN TERMINE NUOVO NEL VOCABOLARIO: NEONATICIDIO .....FOLLIA PURA DI DUE ITALIANI


L'orrore del neonaticidio 
di Renzo Puccetti  17-03-2012



 

La notizia ha fatto il giro di mezzo mondo indignando molte persone: due bioeticisti italiani hanno pubblicato un articolo sul Journal of Medical Ethicsin cui sostengono la legittimità dell'uccisione del neonato sulla base del suo status morale analogo a quello del feto. Lo hanno chiamato "aborto dopo la nascita" (after-birth abortion) nonostante l'espressione sia una contraddizione in termini, un ossimoro come riconosciuto dagli stessi autori; aborto significa infatti etimologicamente "non nato". 

L'espressione viene però da essi preferita a quella di infanticidio per sottolineare l'analogia del neonato con quella del feto ed a quella di eutanasia neonatale per evidenziare che le motivazioni per eseguirla possono essere molto più ampie rispetto a quelle invocate per l'eutanasia; possono essere cioè le stesse motivazioni che sono alla base degli interventi di aborto. Quali considerazioni si possono fare rispetto ad un articolo che ha suscitato un vespaio di polemiche? La prima, già indicata dal professor Pessina, è che la tesi non è affatto nuova.

In un mio libro (L’uomo indesiderato, Società Editrice Fiorentina, Firenze 2008) riprendevo la dichiarazione del bioeticista dell’Università di Manchester John Harris che sosteneva la legittimità del neonaticidio: “La gente che cosa crede sia successo nell’uscita dal canale del parto per giustificare l’uccisione del feto ad un’estremità del canale del parto, ma non all’altra?”, diceva.

Osservavo che un argomento auto-evidente come il mantenimento della stessa identità dentro e fuori il corpo della madre, solitamente invocato per giudicare come un male morale l'aborto, possa essere ribaltato per estendere il giudizio di legittimità morale all'uccisione del neonato. D'altra parte l'articolo in questione non fa che riprendere e si poggia interamente su un'antropologia funzionalista (si è persona solo se si è capaci di esprimere specifiche funzioni, in genere cognitive) di cui un epigono nostrano è stato quel dottor Vazzoler, neonatologo appartenente all'associazione bioetica presieduta dal professor Mori, il quale in un convegno organizzato anche dall'ordine dei medici di Firenze sostenne che “i feti, i neonati fortemente prematuri, i ritardati mentali gravi e coloro che sono in uno stato vegetativo permanente, cioè senza speranza, costituiscono esempi di non persone umane. Tali entità fanno parte della specie umana, ma non sono persone”.

Mi pare sia da annotare che la stessa antropologia non fa distinzione tra pre-persone ed ex-persone, tutte sono comunque non-persone e tra gli sviluppi logici della tesi in oggetto è compreso il diritto ad uccidere i dementi e i malati psichiatrici gravi non per pietà, ma per l'interesse di chi è persona, venendo così meno la limitazione alla volontarietà dell'eutanasia. Sarebbe così del tutto legittimo potere effettuare eutanasie non volontarie, cioè senza consenso, ed involontarie, contro la volontà di chi viene ucciso. Già oggi in Belgio la metà delle eutanasie vengono effettuate in assenza di consenso esplicito della persona.

Neppure la terminologia usata dagli autori è così originale, è sempre sconveniente auto-citarsi, ma ricordo che in diversi interventi io stesso ho descritto il neonaticidio come "aborto ectobiotico". Una seconda linea di riflessione che mi pare opportuna ha a che fare con la sorpresa manifestata da molti di fronte ad una tale proposta. Perché stupirsi? La radice profonda di questa mostruosa teoria consiste nella sopprimibilità dell'indesiderato, in un darwinismo medico-laboratoristico che già oggi viene serialmente compiuto alla luce del sole ed ha come protagonista l'essere umano inerme colto in vari momenti della sua esistenza. Non è forse una legalizzata selezione qualitativa degli embrioni da trasferire in utero ad essere praticata nelle procedure di fecondazione artificiale di ogni tipo? Non è forse un'imperfezione cromosomica, avere ad esempio tre cromosomi 21, che fa legalmente sopprimere la maggioranza dei bambini con sindrome di Down? In certi contesti culturali non è forse solo un differente, ma parimenti indesiderato assetto cromosomico che conduce all'aborto selettivo delle bambine? Lo stesso aborto ectobiotico, lo stesso aborto post-nascita, la stessa eutanasia neonatale o come altro diavolo li si voglia chiamare non sono forse realizzate quotidianamente per omissione delle cure rianimatorie previste in tante linee guida neonatologiche di cui Bellieni ci ha dato conto?

Le linee guida svizzere dicono di non rianimare i prematuri di 22 e 23 settimane, ma curandoli, facendo cioè il dovere di ogni medico degno di questo nome, oggi si può salvare il 27,1% di quelli nati a 22 settimane e il 41,8% dei nati a 23 settimane. La sopravvivenza a 18-22 mesi è stata calcolata essere rispettivamente del 26,7% e 40,9%. Sarò limitato, ma non riesco a cogliere alcuna differenza tra queste condotte e le morti provocate per omissione di soccorso. Perché dunque sorprendersi dell’articolo di Giubilino e Minerva edito da una rivista il cui direttore, Savalescu, non solo difende il diritto di pubblicare l’articolo, ma persino nega il diritto all’obiezione di coscienza per i medici?

È significativa la risposta a Savalescu del dottor Vaughan Smith: “Dopo avere visitato Auschwitz mi sono cimentato con la domanda di come mi sarei comportato come medico nella Germania nazista o nella Russia stalinista […] Non essendo una persona coraggiosa, non sono sicuro. La possibilità di comportarmi onestamente sarebbe stata più grande se mi fossi sentito parte di una professione medica indipendente, fedele a qualcosa di superiore e più duraturo rispetto al regime del giorno. Sarebbe stata inferiore se le opinioni di Savalescu avessero prevalso (cosa che, suppongo, sia avvenuta)”.

L’articolo del Journal of Medical Ethics non è quindi niente più che un piccolo mattone apposto per realizzare il tempio dell’inciviltà. Un appunto finale riguarda la tentazione di volere distinguere tra uccisione del neonato e uccisione del non nato. Accettare l'esistenza di una qualsivoglia differenza morale tra i due atti significherebbe ipso facto accettare una visione gradualista della dignità personale alla base delle inique leggi abortiste attualmente in vigore che per appunto consentono l'aborto su richiesta, purché entro un determinato ambito di tempo. Significherebbe implicitamente negare quel personalismo ontologicamente fondato che è la pietra d'inciampo per la cultura della morte, significherebbe, magari senza rendersene conto, favorire l'oscurità e la barbarie. Contro questa macchina ignobile e menzognera il 13 Maggio a Roma, marceranno uomini e donne di buona volontà e di ogni età, marceranno per la difesa integrale della vita, marceranno per la civiltà

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PER DISCERNERE CIO' CHE E' BUONO DA CIO' CHE NON LO E' OCCORRE INFORMARSI ED ACQUISIRE CONSAPEVOLEZZA.


Falsi profeti

di Antonio Livi
17-03-2012

Priore di Bose
Enzo Bianchi si presenta come il priore della Comunità di Bose, che i cattolici ritengono essere un nuovo ordine monastico, mentre canonicamente non lo è, perché non rispetta le leggi della Chiesa sulla vita comune religiosa. I cattolici lo ritengono un maestro di spiritualità, un novello san Francesco d’Assisi capace di riproporre ai cristiani di oggi il Vangelo sine glossa, ma nei suoi discorsi la Scrittura non è la Parola di Dio custodita e interpretata dalla Chiesa ma solo un espediente retorico per la sua propaganda a favore di un umanesimo che nominalmente è cristiano ma sostanzialmente è ateo. 


Ecco, ad esempio, come Enzo Bianchi commentava il racconto evangelico delle tentazioni di Gesù nel deserto: «Gesù non si sottrae ai limiti della propria corporeità e non piega le Scritture all’affermazione di sé; al contrario, egli persevera nella radicale obbedienza a Dio e al proprio essere creatura, custodendo con sobrietà e saldezza la propria umanità» (Avvenire, 4 marzo 2012). Insomma, un’esplicita negazione della divinità di Cristo, i quale è ridotto a simbolo dell’etica sociale politically correct, l’etica dell’uomo che – come scriveva Bianchi poco più sopra – deve «avere il cuore e le mani libere per dire all’altro uomo: “Mai senza di te”» (ibidem). 

Grazie al non disinteressato aiuto dei media anticattolici, Enzo Bianchi ha saputo gestire molto bene la propria immagine pubblica: quando si rivolge a quanti si professano cattolici, Enzo Bianchi veste i panni del “profeta” che lotta per l’avvento di un cristianesimo nuovo (un cristianesimo che deve essere moderno, aperto, non gerarchico e non dogmatico, cioè, in sostanza, non cattolico); quando invece si rivolge ai cosiddetti “laici” (ossia a coloro che hanno smesso di professarsi cattolici oppure non lo sono mai stati ma desiderano tanto vedere morire una buona volta il cattolicesimo), Enzo Bianchi si presenta simpaticamente come loro alleato, come una quinta colonna all’interno della Chiesa cattolica (se non piace la metafora di “quinta colonna” posso ricorrere alla metafora, ideata da Dietrich von Hildebrand, di “cavallo di Troia nella Città di Dio”). 

Ora, che i media anticattolici (il Corriere della Serala RepubblicaLa StampaL’Espresso) ospitino volentieri i sermoni del profeta della fine del cattolicesimo (così come ospitano i sermoni di tutti i piccoli e grandi intellettuali, cattolici e non, che auspicano una Chiesa cattolica senza più dogma, senza morale, senza sacramenti, senza autorità pastorale) non desta meraviglia, visto che si tratta di gente che porta acqua al loro mulino; invece, che i media ufficialmente cattolici si prestino (da almeno dieci anni!) a operazioni del genere fa comprendere fino a qual punto di confusione dottrinale e di insensibilità pastorale si sia arrivati nella Chiesa, almeno in Italia (anche se forse negli altri Paesi di antica tradizione cristiana le cosa stanno pure peggio). 

Ho parlato di “insensibilità pastorale”, perché è evidente che organi di informazione che sono istituzionalmente al servizio della pastorale (penso a Famiglia Cristiana, che fu fondata da chi voleva promuove l’apostolato della “buona stampa” e che per decenni è stata diffusa soprattutto nelle chiese; penso ad Avvenire, quotidiano voluto da Paolo VI e gestito dalla Conferenza episcopale) non dovrebbero contribuire alla diffusione di ideologie che sono per l’appunto l’ostacolo massimo che oggi la pastorale si trova davanti. La pastorale infatti è costituita essenzialmente dalla catechesi e dall’evangelizzazione, ossia dall’offerta della verità e della grazia di Cristo a chi già crede e a chi ancora deve arrivare alla fede. Come si fa a portare la verità e la grazia di Cristo agli uomini (quelli di oggi, non diversamente da quelli di ieri) se si nasconde loro che Cristo è il Salvatore, cioè Dio stesso fatto Uomo per redimerci dal peccato e assicurarci la salvezza eterna? Come si fa ad avvicinare gli uomini all’Eucaristia, fonte della vita soprannaturale, se agli uomini di oggi si nasconde il mistero della Presenza reale, se non li si educa allo spirito di adorazione, se si annulla la differenza tra l’umano e il divino, se la “comunione” di cui si parla non è principalmente con Dio ma esclusivamente con gli altri uomini (e “comunione” vuol dire solo solidarietà, accoglienza, “fare comunità”). 

Come si fa a far amare la Chiesa di Cristo, «colonna e fondamento della verità», se viene messo in ombra il carisma dell’infallibilità del magistero ecclesiastico, se viene esaltato lo spirito di disobbedienza e la critica demolitrice della legittima autorità stabilita da Cristo stesso? Insomma, non è certo segno di sensibilità pastorale orientare il criterio dottrinale dei propri lettori (per definizione si suppone che siano cattolici) con i discorsi bonariamente eretici di Enzo Bianchi. Il quale, peraltro, non fa mistero della sua piena condivisione delle proposte riformatrici di Hans Küng, che con il linguaggio tecnico della teologia dogmatica ha enunciato e continua a enunciare le medesime eresie che Bianchi enuncia con il linguaggio retorico della saggistica letteraria. Nessuno si è sorpreso infatti leggendo sulla Stampa di Torino un recente articolo di Enzo Bianchi (13 marzo 2012) nel quale il priore di Bose ribadisce il suo sostegno alle tesi di Hans Küng, prendendo occasione da una nuova edizione italiana del suo Essere cristiani

Hans Küng, che è il più famoso (meglio si direbbe famigerato) di tutti i falsi teologi che hanno diffuso nella Chiesa cattolica, a partire dalla seconda metà del Novecento, le ideologie secolaristiche che oggi costituiscono quell’ostacolo alla pastorale del quale parlavo. Lo esalta presentandolo come una specie di “dottore della Chiesa” ingiustamente inascoltato, guardandosi bene dal ricordare (ma lo sanno persino molti lettori della Stampa) che il professore svizzero ha sempre negato la verità dei dogmi della Chiesa e il fondamento teologico della morale cattolica, disconoscendo sempre la funzione del magistero ecclesiastico (a partire dal libro intitolato Infallibile?). Küng non è stato scomunicato né è stato messo a tacere (peraltro, tutti gli editori più importanti dell’Occidente scristianizzato hanno pubblicato e diffuso le sue opere), e non c’è ragione alcuna per la quale egli debba presentarsi ed essere presentato come una vittima della repressione da parte della gerarchia ecclesiastica. 

Per disegnargli intorno alla testa l’aureola della santità, Enzo Bianchi parla di Küng come di un protagonista del Vaticano II, facendo finta di ignorare che un concilio ecumenico è un’espressone solenne del magistero ecclesiastico (protagonisti ne sono soltanto i vescovi, e i documenti approvati al termine dei lavori hanno un eminente valore per la dottrina della fede in quanto convocato, presieduto e convalidato dai Papi) e non un convegno internazionale di teologi (Hans Küng, come “perito”, non ha avuto nel Concilio né voce né voto). Insomma, Enzo Bianchi vorrebbe far credere che Küng, malgrado i suoi meriti teologici, non avrebbe ottenuto dall’autorità ecclesiastica la benevolenza e i riconoscimenti che gli spettavano; addirittura, insinua Bianchi, alla Chiesa conveniva mettere Küng, piuttosto che il suo collega Ratzinger, a capo della congregazione per la Dottrina della fede. 

Sono assurdità che possono andar bene solo per i lettori della Stampa (quotidiano di collaudata tradizione massonica), ai quali non importa nulla della fede cristiana ma sono ben contenti di vedere la Chiesa cattolica in preda a una profonda crisi dottrinale e disciplinare, sperando che tutto ciò affretti la sua definitiva scomparsa dalla scena sociale e politica. Ma Bianchi è ospitato anche dalla stampa cattolica, e in quella sede l’assurdità di cui parlavo dovrebbe essere percepita da qualcuno. 

Qualcuno dovrebbe rinfacciare a Bianchi l’ipocrisia di presentare come vittima del potere ecclesiastico senza dire che il teologo svizzero non ha mai voluto riconoscere la legittimità (cioè l’origine divina) di questo potere, che ad altro non serve se non alla custodia fedele e alla interpretazione infallibile della verità che salva. Bianchi si guarda bene dal riferire tutte le contumelie e gli insulti che Hans Küng è solito scrivere (anche in italiano, sul Corriere della Sera) contro quei papi (soprattutto Paolo VI e Giovanni Paolo II) che non gli hanno dato ragione (e come avrebbero potuto?). 

PER CREDERE NEL CATTOLICO PRATICANTE MARIO MONTI VORREI SENTIRE DA LUI UNA "RICETTA" COME QUELLA DI SOCCI !



Per la crescita del Pil non bisogna imitare la Cina, ma tornare alle radici cristiane (quando l’Italia cresceva al 6 per cento annuo)

DI ANTONIO SOCCI  18 MARZO 2012 / IN NEWS 


 Monopolizzano la scena ormai da mesi: la “signora crescita” e il “signor pil”. E inseguiamo tutti drammaticamente il loro matrimonio. Anche in queste ore sono al centro delle trattative fra partiti, governo e sindacati.
La politica italiana si è perfino suicidata sull’altare di questa nuova divinità statistica da cui sembra dipendere il nostro futuro. Se però alzassimo lo sguardo dalla cronaca dovremmo chiederci: chi è questo “signor Pil”?
I manuali dicono che è il “valore di beni e servizi finali prodotti all’interno di un certo Paese in un intervallo di tempo”. Ma fu proprio l’inventore del Pil, Simon Kuznets, ad affermare che “il benessere di un Paese non può essere facilmente desunto da un indice del reddito nazionale”.
Lo ha ricordato ieri Marco Girardo, in un bell’articolo su “Avvenire”, aggiungendo che ormai da decenni economisti e pensatori mettono in discussione questo parametro: da Nordhaus a Tobin, da Amartya Sen a Stiglitz e Fitoussi.
KENNEDY LO SAPEVA
Girardo ha riproposto anche un bell’intervento di Bob Kennedy, che già nel 1968, tre mesi prima di essere ammazzato nella campagna presidenziale che lo avrebbe portato alla Casa Bianca, formulò così il nuovo sogno americano:
“Il Pil non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta. Può dirci tutto sull’America, ma non se possiamo essere orgogliosi di essere americani”.
Non è una discussione astratta. Infatti con l’esplosione e lo strapotere della finanza – che nei primi anni Ottanta valeva l’80 per cento del Pil mondiale e oggi è il 400 per cento di esso – questo “erroneo” Pil è diventata la forca a cui si impiccano i sistemi economici, il benessere dei popoli e la sovranità degli stati.
Oggi la ricchezza finanziaria non è più al servizio dell’economia reale e del benessere generale, ma conta più dell’economia reale e se la divora, la determina e la sconvolge (e con essa la vita di masse enormi di persone).
Anche perché ha imposto una globalizzazione selvaggia che ha messo ko la politica e gli stati e che sta terremotando tutto.
PRIGIONIERI DELLA FINANZA
La crescita del Pil o la sua decrescita decide il destino dei popoli, è diventata quasi questione di vita o di morte e tutti – a cominciare dalla politica, ridotta a vassalla dei mercati finanziari – stanno appesi a quei numerini.
Dunque le distorsioni e gli errori che erano insiti nell’originaria definizione del Pil rischiano di diventare giudizi sommari e sentenze di condanna per i popoli.
Per questo, l’estate scorsa, nel pieno della tempesta finanziaria che ha investito l’Italia, un grande pensatore come Zygmunt Bauman, denunciando “un potere, quello finanziario, totalmente fuori controllo”, descriveva così l’assurdità della situazione: “C’è una crisi di valori fondamentali. L’unica cosa che conta è la crescita del pil. E quando il mercato si ferma la società si blocca”.
Nessuno ovviamente può pensare che non si debba cercare la crescita del Pil (l’idea della decrescita è un suicidio). Il problema è cosa vuol dire questa “crescita” e come viene calcolata oggi. Qui sta l’assurdo.
Bauman faceva un esempio:
se lei fa un incidente in macchina l’economia ci guadagna. I medici lavorano. I fornitori di medicinali incassano e così il suo meccanico. Se lei invece entra nel cortile del vicino e gli dà una mano a tagliare la siepe compie un gesto antipatriottico perché il pil non cresce. Questo è il tipo di economia che abbiamo rilanciato all’infinito. Se un bene passa da una mano all’altra senza scambio di denaro è uno scandalo. Dobbiamo parlare con gli istituti di credito”.
Con questa assurda logica – per esempio – fare una guerra diventa una scelta salutare perché incrementa il pil, mentre avere in un Paese cento Madre Teresa di Calcutta che soccorrono i diseredati è irrilevante.
Un esempio italiano: avere una solidità delle famiglie o una rete di volontariato che permettano di far fronte alla crisi non è minimamente calcolato nel Pil.
Eppure proprio noi, in questi anni, abbiamo visto che una simile ricchezza, non misurabile con passaggio di denaro, ha attutito dei drammi sociali che potevano essere dirompenti.
IL PAPA CI ILLUMINA
Ciò significa che ci sono fattori umani, non calcolabili nel Pil, che hanno un enorme peso nelle condizioni di vita di una società e anche nel rilancio della stessa economia.
Perché danno una coesione sociale che il mercato non può produrre, ma senza la quale non c’è neppure il mercato.
Ecco perché Benedetto XVI nella sua straordinaria enciclica sociale, “Caritas in Veritate”, uscita nel 2009, nel pieno della crisi mondiale, ha spiegato che “lo sviluppo economico, sociale e politico, ha bisogno, se vuole essere autenticamente umano di fare spazio al principio di gratuità”, alla “logica del dono”.
Ovviamente il Papa non prospetta “l’economia del regalo”. Il “dono” è tutto ciò che è “gratuito”, non calcolabile e che non si può produrre: l’intelligenza dell’uomo, l’amore, la fraternità, l’etica, l’arte, l’unità di una famiglia, la carità, l’educazione, la creatività, la lealtà e la fiducia, l’inventiva, la storia e la cultura di un popolo, la sua fede religiosa, la sua laboriosità, la sua speranza.
MIRACOLO ITALIANO
Se vogliamo guardare alla nostra storia, sono proprio questi fattori che spiegano come poté verificarsi, nel dopoguerra, quel “miracolo economico” italiano che stupì il mondo.
Tutti oggi parlano di crescita (e siamo sotto lo zero), ma come fu possibile in Italia, dal 1951 al 1958, avere una crescita media del 5,5 per cento annuo e dal 1958 al 1963 addirittura del 6,3 per cento annuo?
Non c’erano né Monti, né la Fornero al governo. Chiediamoci come fu possibile che un Paese sottosviluppato e devastato dalla guerra balzasse, in pochi anni, alla vetta dei Paesi più sviluppati del mondo.
Dal 1952 al 1970 il reddito medio degli italiani crebbe più del 130 per cento, quattro volte più di Francia e Inghilterra, rispettivamente al 30 e al 32 per cento (se assumiamo che fosse 100 il reddito medio del 1952, nel 1970  noi eravamo a 234,1).
E’ vero che avemmo il Piano Marshall, ma anche gli altri lo ebbero. Inoltre noi non avevamo né materie prime, né capitali, né fonti energetiche. Eravamo usciti distrutti e perdenti da una dittatura e da una guerra e avevamo il più forte Pc d’occidente che ci rendeva molto fragili.
Quale fu dunque la nostra forza?
E’ – in forme storiche diverse – la stessa che produsse i momenti più alti della nostra storia, la Firenze di Dante o il Rinascimento che ha illuminato il mondo, l’Europa dei monaci, degli ospedali e delle università: il cristianesimo. Pure la moderna scienza economica ha le fondamenta nel pensiero cristiano, dalla scuola francescana del XIV secolo alla scuola di Salamanca del XVI.
Noi c’illudiamo che il nostro Pil torni a crescere se imiteremo la Cina. Ma la Cina – anzi la Cindia – non fa che fabbricare, in un sistema semi-schiavistico (quindi a prezzi stracciati), secondo un “know how” del capitalismo che è occidentale. Scienza, tecnologia ed economia sono occidentali. L’Oriente copia.
ECCO IL SEGRETO
Proprio l’Accademia delle scienze sociali di Pechino, richiesta dal regime di “spiegare il successo, anzi la superiorità dell’Occidente su tutto il mondo”, nel 2002, scrisse nel suo rapporto: “Abbiamo studiato tutto ciò che è stato possibile dal punto di vista storico, politico, economico e culturale”.
Scartate la superiorità delle armi, poi del sistema politico, si concentrarono sul sistema economico: “negli ultimi venti anni” scrissero “abbiamo compreso che il cuore della vostra cultura è la vostra religione: il cristianesimo. Questa è la ragione per cui l’Occidente è stato così potente. Il fondamento morale cristiano della vita sociale e culturale è ciò che ha reso possibile la comparsa del capitalismo e poi la riuscita transizione alla vita democratica. Non abbiamo alcun dubbio”.
Loro lo sanno. Noi non più.

Antonio Socci